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mercoledì 30 gennaio 2013

Sarpi , Storia del Concilio di Trento (Sulla scrittura , interpretazione e traduzione)


[Il papa scrive a' legati e consente che s'entri in materia. È preso a soggetto la Sacra
Scrittura]
Sopra la lettera da Trento scritta ebbe il pontefice molta considerazione, dall'uno canto
ponderando gli inconvenienti che sarebbono seguiti tenendo, come diceva, il concilio su le ancore,
con mala sodisfazzione di quei vescovi che ivi erano, et il male che poteva nascere quando
s'incomminciasse riforma; in fine, vedendo ben che era necessario rimettere qualche cosa alla
ventura e che la prudenzia non consegliava se non evitar il male maggiore, risolvé di riscrivere a
Trento che, secondo il raccordo loro, incaminassero l'azzione, avvertendo di non metter in campo
nuove difficoltà in materia di fede, né determinando cosa alcuna delle controverse tra' catolici, e
nella riforma procedendo pian piano. I legati, che sin allora si erano trattenuti nelle congregazioni in
cose generali, avendo ricevuto facoltà d'incaminarsi, nella congregazione de 22 febraro proposero
che, fermato il primo fondamento della fede, la consequenza portava che si trattasse un altro piú
ampio, che è la Scrittura divina, materia nella quale vi sono ponti spettanti a' dogmi controversi co'
luterani et altri per riforma degli abusi, e li piú principali e necessarii da emendare, et in tanto
numero che forsi non basterà il tempo sino alla sessione per trovare rimedio a tutti. Si discorse delle
cose controverse con luterani in questo soggetto e degli abusi, e fu da diversi prelati parlato molto
sopra di questo.
Sino allora i teologi, che erano al numero di 30 e per il piú frati, non avevano servito in
concilio ad altro che a fare qualche predica i giorni festivi, in essaltazione del concilio o del papa, e
per pugna ombratile con luterani; ora che si doveva decidere dogma controverso e rimediare agli
abusi piú tosto de' letterati che d'altri, comminciò ad apparire in che valersene. E fu preso ordine
che, nelle materie da trattarsi per decidere punti di dottrina, fossero estratti gli articoli da' libri de'
luterani, contrarii alla fede ortodossa, e dati da studiare e censurare a' teologi, accioché, dicendo
ciascuno d'essi l'opinione sua, fosse preparata la materia per formare i decreti; quali proposti in
congregazione et essaminati da' padri, inteso il voto di ciascuno, fosse stabilito quello che in
sessione s'averebbe a publicare. Et in quello che appartiene agli abusi, ogni uno raccordasse quello
che gli pareva degno di correzzione, col rimedio appropriato.
Gli articoli formati per la parte spettante alla dottrina, tratti da' libri di Lutero, furono:
1 Che la dottrina necessaria della fede cristiana si contiene tutta intiera nelle divine Scritture,
e che è una finzione d'uomini aggiongervi tradizioni non scritte, come lasciate da Cristo e dagli
apostoli alla santa Chiesa, arrivate a noi per il mezo della continua successione de' vescovi, et essere
sacrilegio il tenerle d'ugual autorità con le Scritture del Nuovo e Vecchio Testamento.
2 Che tra libri del Vecchio Testamento non si debbono numerare salvo che i ricevuti dagli
ebrei, e nel Testamento Nuovo le 6 Epistole, cioè sotto nome di san Paolo agli ebrei, di san
Giacomo, seconda di san Pietro, seconda e terza di san Giovanni et una di san Iuda, e l'Apocalisse.
3 Che per avere l'intelligenza vera della Scrittura divina o per allegare le proprie parole è
necessario aver ricorso a' testi della lingua originaria nella quale è scritta, e reprovare la tradozzione
che da' latini è usata, come piena d'errori.
4 Che la Scrittura divina è facilissima e chiarissima, e per intenderla non è necessaria né
glosa, né commenti, ma avere spirito di pecorella di Cristo.
5 Se contra tutti questi articoli si debbono formare canoni con anatemi.
Sopra i due primi articoli fu discorso da' teologi in 4 congregazioni, e nel primo tutti furono
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concordi che la fede cristiana si ha parte nella Scrittura divina e parte nelle tradizioni, e si consumò
molto tempo in allegare per questo luoghi di Tertulliano, che spesso ne parla e molti ne numera,
d'Ireneo, Cipriano, Basilio, Agostino et altri; anzi, dicendo di piú alcuni che tutta la dottrina catolica
abbia per unico fondamento la tradizione, perché alla medesima Scrittura non si crede, se non
perché si ha per tradizione. Ma vi fu qualche differenza come fosse ispediente trattare questa
materia.
Fra Vicenzo Lunello franciscano fu d'opinione che, dovendosi stabilire la Scrittura divina e
le tradizioni per fondamenti della fede, si dovesse inanzi trattare della Chiesa, che è fondamento piú
principale, perché la Scrittura riceve da quella l'autorità, secondo il celebre detto di sant'Agostino:
«Non crederei all'Evangelio, se l'autorità della Chiesa non mi constringesse», e perché delle
tradizioni non si può aver uso alcuno, se non fondandolo sopra la medesima autorità, poiché,
venendo controversia, se alcuna cosa sia per tradizione, sarà necessario deciderla o per testimonio, o
per determinazione della Chiesa. Ma stabilito questo fondamento, che ogni cristiano è ubligato
credere alla Chiesa, sopra quello si fabricarà sicuramente. Aggiongeva doversi pigliar essempio da
tutti quelli che sino allora avevano scritto con sodezza contra luterani, come frate Silvestro et
Ecchio, che si sono valuti piú dell'autorità della Chiesa, che di qualonque altro argomento; né con
altro potersi mai convincer i luterani. Esser cosa molto aliena dal fine proposto, cioè di ponere tutti i
fondamenti della dottrina cristiana, lasciare il principale e forse l'unico, ma al certo quello senza il
quale gli altri non sussistono. Non ebbe questa opinione seguaci. Alcuni gli opponevano che era
sogetta alle stesse difficoltà che faceva agl'altri; perché anco le sinagoghe d'eretici s'arrogarebbono
d'essere la vera Chiesa, a chi tanta autorità era data. Altri, avendo per cosa notissima et indubitabile
che, per la Chiesa, si debbe intendere l'ordine clericale, e piú propriamente il concilio et il papa
come capo, dicevano che l'autorità di quella s'ha da tenere per già decisa, e che il trattarne al
presente sarebbe un mostrare che fosse in difficoltà, o almeno cosa chiarita di nuovo, e non
antichissima, sempre creduta dopo che ci è Chiesa cristiana.
Ma fra Antonio Marinaro carmelitano era di parere che si astenesse di parlare delle
tradizioni, e diceva che in questa materia, per decisione del primo articolo, conveniva prima
determinare se la questione fosse facti vel iuris, cioè se la dottrina cristiana ha due parti, una, che
per divina volontà fosse scritta, l'altra che per la stessa fosse proibito scrivere, ma solo insegnare in
voce; overo se di tutto il corpo della dottrina per accidente è avvenuto che, essendo stata tutta
insegnata, qualche parte non sia stata posta in scritto. Soggionse essere cosa chiara che la Maestà
divina, ordinando la legge del Vecchio Testamento, statuí che fosse necessario averla in scritto,
però col proprio dito scrisse il decalogo in pietra, commandando, che fosse riposto nello scrigno,
perciò chiamato del patto, che si dice «Arca foederis». Che commandò piú volte a Moisè di scrivere
li precetti in libro, e che un essemplare stasse appresso lo scrigno, e che il re ne avesse uno per
leggere continuamente. Non fu l'istesso nella legge evangelica, la qual dal figlio di Dio fu scritta ne'
cuori, alla quale non è necessario avere tavole, né scrigno, né libro. Anzi, fu la Chiesa perfettissima
inanzi che alcuni de' santi apostoli scrivessero; e se ben niente fosse stato scritto, non però alla
Chiesa di Cristo sarebbe mancata alcuna perfezzione. Ma sí come fondò Cristo la dottrina del
Nuovo Testamento ne' cuori, cosí non vietò che non dovesse essere scritta, come in alcune false
religioni, dove i misterii erano tenuti in occolto, né era lecito mettergli in scritto, ma solamente
insegnarli in voce; e pertanto essere cosa indubitata che quello che hanno scritto gli apostoli e
quello che hanno insegnato a bocca è di pari autorità, avendo essi scritto e parlato per l'instinto dello
Spirito Santo; il quale però, sí come assistendo loro gli ha drizzati a scrivere e predicare il vero, cosí
non si può dire che abbia loro proibito scrivere alcuna cosa per tenerla in misterio, onde non si
poteva distinguere doi generi d'articoli della fede, alcuni publicati con scrittura, altri commandati di
communicare solo in voce. Disse anco che, se alcuno fosse di contraria opinione, averebbe due gran
difficoltà da superare: l'una in dire in che consiste la differenza; l'altra, come i successori degli
apostoli abbiano potuto metter in scritto quello che da Dio fu proibito; soggiongendo essere
altretanto dura e difficile da sostenere l'altra, cioè per accidente esser occorso che alcuni particolari
non siano stati scritti, poiché derogherebbe molto alla divina providenza nell'indrizzare i santi
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apostoli nella composizione delle scritture del Nuovo Testamento. Pertanto concludeva che l'entrar
in questa trattazione fosse un navigare tra Scilla e Cariddi et essere meglio immitar li padri, quali si
sono sempre valuti di questo luogo solo ne' bisogni, non venendo però mai in parere di formarne un
articolo di competenza contra la divina Scrittura. Aggionse che non era necessario passar allora a
fare nuova determinazione, poiché da' luterani, se ben hanno detto di non voler essere convinti salvo
che con la Scrittura, non è però stata formata controversia in questo articolo, et essere ben attendere
alle sole controversie che essi hanno promosse, e non metterne in campo di nuove, esponendosi a
pericolo di fare maggior divisione nel cristianesmo.
A pochi piacque l'openione del frate; anzi dal cardinale Polo fu ripreso, con dire che quel
parere era piú degno d'un colloquio di Germania, che condecente ad un concilio universale della
Chiesa; che in questo convien avere mira alla verità sincera, non come là, dove non si tratta se non
d'accordarsi et eziandio con pregiudicio della verità; per conservare la Chiesa essere necessario o
che i luterani ricevino tutta la dottrina romana, o che siano scoperti quanti piú errori di loro si può
ritrovare, per mostrare al mondo tanto piú che non si può convenire con loro; però se essi non hanno
formato la controversia sopra le tradizioni, bisogna formarla e condannare le openioni loro e
mostrare che quella dottrina non solo è differente dalla vera in quello dove professatamente gli
contradice, ma in tutte le altre parti; doversi attendere a condannare piú assordità che si potran
cavare da' scritti loro, et essere vano il timore di urtar in Scilla o Cariddi per quella cavillosa
raggione, a quale chi attendesse concluderebbe che non ci fosse tradizione alcuna.
[Diverse openioni sopra 'l canone de' libri sacri]
Nel secondo articolo le openioni furono conformi in questo, che secondo gli antichi essempii
si facesse catalogo de' libri canonici, nel quale fossero registrati tutti quelli che si leggono nella
Chiesa romana, eziandio quelli del Vecchio Testamento che dagli ebrei non sono ricevuti; e per
prova di ciò fu da tutti allegato il concilio laodiceno, Innocenzio I pontefice, il III concilio
cartaginense e Gelasio papa. Ma furono 4 openioni. Alcuni volevano che doi ordini fossero fatti: nel
primo si ponessero quei soli che da tutti sono sempre stati ricevuti senza contradizzione; nell'altro
quelli, quali altra volta sono stati reietti o di loro dubitato; e si diceva che, se ben ciò non si vede
fatto precedentemente da nissun concilio o pontefice, nondimeno era sempre cosí stato inteso;
perché sant'Agostino fa una tal distinzione e l'autorità sua è stata canonizata nel canone In
canonicis, e san Gregorio, che fu posterior anco a Gelasio, sopra Iob dice de' libri de' Macabei che
sono scritti per edificazione, se ben non sono canonici.
Fra Aloisio di Catanea dominicano diceva che questa distinzione era fatta da san Gierolamo,
ricevuto come regola e norma dalla Chiesa per constituir il canone delle Scritture, et allegava il
cardinal Gaetano, il quale esso ancora gli aveva distinti, seguendo san Gierolamo come regola
infallibile dataci dalla Chiesa, e cosí scrisse a papa Clemente VII, mandandogli l'esposizione sua
sopra i libri istoriali del Vecchio Testamento. Altri erano di parere che tre ordini fossero stabiliti: il
primo di quelli che sempre furono tenuti per divini; il secondo di quelli che altre volte hanno
ricevuto dubio, ma, per uso, ottenuto autorità canonica, nel qual numero sono le sei Epistole, e
l'Apocalisse del Nuovo Testamento et alcune particole degli evangelisti; il terzo di quelli che mai
sono certificati, quali sono i sette del Vecchio Testamento et alcuni capi di Daniele e di Ester. Altri
riputavano meglio non far alcuna distinzione, ma immitare il concilio cartaginense e gli altri,
ponendo il catalogo senza dire piú parole. Un altro parere fu che si dicchiarassero tutti, in tutte le
parti, come si ritrovano nella Bibia latina, essere di divina et ugual autorità. Maggior pensiero diede
il libro di Baruc, il quale non è posto in numero né da' laodiceni, né da' cartaginesi, né da' pontefici
romani, e si sarebbe tralasciato cosí per questa causa, come perché non si sapeva trovar il principio
di quel libro; ma ostava che nella Chiesa se ne legge lezzione, raggione stimata cosí potente che
fece risolvere la congregazione, con dire che dagli antichi fu stimato parte di Ieremia e compreso
con lui.
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Nella congregazione del venere 5 marzo, essendo andato aviso che i pensionarii del vescovo
di Bitonto dimandavano in Roma d'essere pagati, e per questo l'avevano fatto citar inanzi l'auditore,
facendo instanza che fosse costretto con scommuniche et altre censure, secondo lo stile della corte,
a fare il pagamento, egli si lamentava dicendo che i suoi pensionarii avevano raggione, ma né egli
aveva il torto, perché, stando in concilio, non poteva spendere manco di 600 scudi all'anno e,
detratte le pensioni, non ne restava a lui piú che 400, onde era necessario che fosse sgravato o
sovvenuto degli altri 200. I prelati poveri, come in causa commune, s'adoperavano in suo servizio et
alcuni d'essi passarono in qualche parole alte, dicendo che questo fosse un'infamia del concilio,
quando ad un officiale della corte di Roma fosse permesso usare censure contra un prelato
essistente in concilio; esser una mostruosità, che averebbe dato da dire al mondo che il concilio non
fosse libero; che l'onor di quel consesso ricercava che fosse citato a Trento l'auditore, overo usato
verso di lui qualche risentimento che conservasse la degnità della sinodo illesa. Alcuni anco
passavano a dannare l'imposizione delle pensioni, dicendo essere ben causa giusta et usata
dall'antichità che le chiese ricche sovvenissero le povere, non però costrette, ma per carità, né
levando a se stesse le cose necessarie; cosí anco aver insegnato san Paolo; ma che i poveri prelati, di
quello che era necessario per la sostentazione propria, fossero costretti con censure a rifondere a'
ricchi, essere cosa intolerabile; e questo esser un capo di riforma da trattar in concilio, riducendo la
cosa all'antico e veramente cristiano uso. Ma i legati, considerando quanto fossero giuste le querele
e dove potevano capitare, quietarono ogni cosa con promettere che averebbono scritto a Roma e
fatto onninamente desistere dal processo giudiciale et operato che in qualche modo fosse proveduto
al vescovo, sí che potesse mantenersi in concilio.
Avendo tutti i teologi finito di parlare, il dí 8 fu intimata congregazione per il seguente, se
ben non era giorno ordinario, non tanto per venir a fine di stabilire decreto sopra gli articoli
disputati, quanto per decoro del concilio, che in quel giorno dedicato a festa profana del carnovale, i
padri si occupassero nelle cose conciliari; et allora fu da tutti approvato che le tradizioni fossero
ricevute come di ugual autorità alla Scrittura, ma non concordarono nella forma di tessere il
catalogo de' libri divini; et essendo 3 openioni, l'una di non descendere a particolar libri, l'altra di
distinguer il catalogo in tre parti, la terza di farne un solo, ponendo tutti i libri d'ugual autorità, né
essendo ben tutti risoluti, furono fatte tre minute, con ordine che si pensasse accuratamente per dire
ciascuno quale ricevesse nella seguente congregazione, che il giorno 12 non si tenne per l'arrivo di
don Francesco di Toledo, mandato dall'imperatore ambasciatore per assistere al concilio come
collega di don Diego; il qual fu incontrato dalla maggior parte de' vescovi e dalle famiglie de'
cardinali.
Arrivò in Trento in questo tempo il Vergerio, di sopra piú volte nominato, andato non per
volontà d'intervenir al concilio, ma fuggendo l'ira del suo popolo, concitato contra lui come causa
della sterilità della terra, e da frate Annibal Grifone inquisitore; né sapeva dove poteva stare con
degnità et avere commodo maggiore di giustificarsi dalle imputazioni del frate, che lo publicava per
luterano non solo nell'Istria, ma appresso il noncio di Venezia et il papa; delle qual cose essendo
anco i legati del concilio avisati, l'esclusero d'intervenire negli atti publici come prelato, se prima
non si fosse giustificato appresso il pontefice, dove lo essortarono efficacemente andare, e se non
avessero temuto di far parlare contra la libertà del concilio, sarebbono usciti dalle essortazioni. Ma
egli, vedendo di star in Trento con maggiore indegnità, pochi dí dopo si partí con animo di tornar al
vescovato, reputando la sedizione populare esser acquietata; ma gionto a Venezia, gli fu proibito
d'andarci dal noncio, quale aveva ricevuto ordine da Roma di formare processo contra di lui; di che
sdegnato o intimorito o per qualche altra causa che fosse, non molti mesi dopo uscí d'Italia.
[Il canone de' libri sacri stabilito, e si tratta della traslazione latina]
Il dí 15, proposte le tre formule, se ben ciascuna ebbe chi la sostentò, la terza però fu
approvata dalla maggior parte. Nelle seguenti congregazioni parlarono i teologi sopra gli altri
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articoli, e molta differenza fu nel terzo sopra la translazione latina della Scrittura tra alcuni pochi
che avevano buona cognizione di latino e gusto di greco, et altri nudi di cognizione di lingue. Fra
Aloisio da Catanea disse che per risoluzione di quell'articolo non si poteva portare cosa piú a
proposito et accommodata a' presenti tempi et occasioni che il giudicio del cardinale Gaetano,
versatissimo nella teologia, avendo studiato sino dalla fanciullezza, e per la felicità dell'ingegno e
laboriosa diligenza riuscito il primo teologo di quello e molti altri secoli, al quale non era prelato, né
altro soggetto in concilio che non cedesse in dottrina e non tenesse d'esser in stato d'imparare da lui.
Questo cardinal, andato in Germania legato del 1523, accuratamente investigando come si potesse
ridurre alla Chiesa li sviati e convincere gli eresiarchi, trovò il vero rimedio: l'intelligenza leterale
del testo della Sacra Scrittura nella sua lingua originale nella quale è scritto; e tutto 'l rimanente di
sua vita, che 11 anni furono, si diede solo allo studio della Scrittura, esponendo non la translazione
latina, ma i fonti ebreo nel Vecchio, e greco nel Nuovo Testamento: delle qual lingue non avendo
egli alcuna cognizione, adoperò persone intendenti che, di parola in parola, gli facessero
costruzzione del testo, come le opere sue scritte sopra i sacri libri mostrano. Era solito dire quel
buon cardinale che l'intendere il testo latino non era l'intendere la parola di Dio infallibile, ma quella
del traslatore, soggetto e succombente agli errori; che ben disse Gieronimo, il profetare e scrivere
sacri libri provenire dallo Spirito Santo, ma il translatargli in altra lingua esser opera della perizia
umana; e dolendosi diceva: «Piacesse a Dio che i dottori de' secoli inanzi avessero cosí fatto, che le
eresie luterane non averebbono trovato luogo». Soggionse non potersi approvare translazione
alcuna, se non reprovando il canone Ut Veterum d. 9, che commanda d'aver il testo ebreo per
essaminare la realtà de' libri del Vecchio Testamento, et il greco per norma di quei del Nuovo.
L'approvar un'interpretazione per autentica essere condannare san Gieronimo e tutti quelli che
hanno tradotto: se alcuna è autentica, a che potrebbono servire le altre non autentiche? Una gran
vanità sarebbe produrre copie incerte avendone in forma probante; doversi tener con san Gieronimo
e col Gaetano che ogni interprete abbia potuto fallare, con tutto che abbia usato ogni arte per non
scostarsi dall'originale; cosí certa cosa essere che, se il santo concilio essaminasse et emendasse al
testo vero un'interpretazione, lo Spirito Santo, che assiste alle sinodi nelle cose della fede, gli
soprastarebbe che non facesse errore, et una tal tradozzione cosí essaminata et approvata si potrebbe
dire autentica. Ma se senza tal essamine si possi approvarne una e promettersi che lo Spirito Santo
assista, non ardiva dirlo, se dalla santa sinodo non fosse cosí determinato, vedendo che nel concilio
de' santi apostoli precesse una grand'inquisizione. Ma essendo una tal opera di decene d'anni, né
potendosi intraprendere, pareva meglio lasciare le cose come erano state 1500 anni, che le
tradozzioni latine fussero verificate co' testi originali.
In contrario, dalla maggior parte de' teologi era detto essere necessario avere per divina et
autentica in tutte le parti sue quella tradozzione che per li tempi passati è stata letta nelle chiese et
usata nelle scuole, altrimenti sarebbe dare la causa vinta a' luterani et aprir una porta per introdur
all'avvenire innumerabili eresie e turbare continuamente la quiete della cristianità. La dottrina della
santa madre Chiesa romana, madre e maestra di tutte le altre, essere fondata in gran parte da'
pontefici romani e da' teologi scolastici sopra qualche passo della Scrittura, che dando libertà a
ciascuno d'essaminare se sia ben tradotta, ricorrendo ad altre tradozzioni o cercando come dica in
greco o in ebreo, questi nuovi grammatici confonderanno ogni cosa e sarà fargli giudici et arbitri
della fede, et in luogo de' teologi e canonisti converrà tener il primo conto, nell'assumer a' vescovati
e cardinalati, de' pedanti. Gli inquisitori non potranno piú procedere contra i luterani se non
sapranno ebreo e greco, che subito sarà risposto da' rei che il testo non dice cosí e che la tradozzione
non è fedele; et ogni novità e capriccio che verrà in testa a qualonque grammatico, o per malizia o
per poca perizia delle cose teologiche, purché possi con qualche apice grammaticale di quelle lingue
confermarlo, troverà fondamento, che mai si venirà al fine. Vedersi adesso, dopo che Lutero ha dato
principio a far una tradozzione della Scrittura, quante diverse e contrarie tra loro sono uscite in luce,
che meritavano essere in perpetue tenebre occultate, quante volte esso Martino ha mutato quella che
aveva prima in un modo tradotto, che mai si è ristampata la tradozzione senza qualche notabile
mutazione non d'un passo o doi, ma di centenara in una fiata; dando questa libertà a tutti, presto
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ridurrebbe la cristianità che non si saprà che credere.
A queste raggioni, sentite con applauso della maggior parte, altri aggiongevano anco che, se
la divina providenza ha dato una Scrittura autentica alla Sinagoga et un autentico Testamento
Nuovo a' greci, non si poteva, senza derogargli, dire che la Chiesa romana, piú diletta, fosse stata
lasciata senza tanto beneficio, e però che questo stesso Spirito Santo, qual dettò i libri sacri, abbia
anco indettata questa traslazione, che dalla Chiesa romana doveva esser accettata. Ad alcuni pareva
ardua cosa fare profeta overo apostolo uno, solamente per tradur un libro; però moderavano
l'asserzione con dire che non ebbe spirito profetico o apostolico, ma ben uno a questo molto vicino.
E se alcuno si rendesse difficile a dare l'assistenza dello spirito di Dio all'interprete, non la potrà
negare al concilio, e quando sarà approvata la volgata edizione e fulminato l'anatema contra chi non
la riceve, quella sarà senza errori, non per spirito di chi la scrisse, ma della sinodo che per tale l'ha
ricevuta.
Don Isidoro Claro bresciano, abbate benedittino, molto versato in questo studio, con la
narrazione istorica cercò di rimovere questa opinione, dicendo in sostanza che del Vecchio
Testamento molte translazioni greche furono nella primitiva Chiesa, quali Origene raccolse in un
volume, confrontandole in 6 colonne: di queste la principale si chiama de' 70, della quale ne furono
anco tratte diverse in latino, sí come varie anco ne furono cavate dalle scritture del Novo
Testamento greche, una de quali, la piú seguita e letta nella Chiesa, si chiama Itala, da
sant'Agostino tenuta per megliore delle altre, in maniera però che si dovessero preferire senza
nissun dubio i testi grechi. Ma san Gieronimo, perito, come ogni uno sa, nella cognizione delle
lingue, vedendo quella del Vecchio Testamento deviare dalla verità ebraica, parte per difetto
dell'interprete greco, parte del latino, ne trasse una dall'ebreo immediate et emendò quella del
Nuovo Testamento alla verità del greco testo. Per il credito nel quale Gieronimo era, la tradozzione
sua fu da molti ricevuta, e ripudiata da altri, piú tenaci degli errori dell'antichità et aborrenti dalle
novità o, come egli si duole, per emulazione; ma dopo qualche anni, cessata l'invidia, fu ricevuta
quella di san Gieronimo da tutti i latini e furono ambedue in uso, chiamandosi la vecchia e la nova.
Testifica san Gregorio, scrivendo a Leandro sopra Iob, che la Sede apostolica le usava ambedue e
che egli, nell'esposizione di quel libro, eleggeva di seguire la nuova, come conforme all'ebreo; però
nelle allegazioni si sarebbe valuto ora dell'una, ora dell'altra, secondo che fosse tornato meglio a suo
proposito. I tempi seguenti, con l'uso di queste due, ne hanno composto una, pigliando parte dalla
nova e parte dalla vecchia, secondo che gli accidenti hanno portato, et a questa cosí composta fu
dato nome d'edizzione vulgata. I salmi essere tutti della vecchia, perché continuandosi di cantargli
quotidianamente nelle chiese, non si potero mutare. I profeti minori tutti della nuova, i maggiori
misti d'ambedue. Questo essere ben certo, che tutto ciò è per divina disposizione avvenuto, senza la
quale non succede cosa alcuna. Ma non si può dire però che vi sia intervenuto perizia maggiore che
umana. San Gieronimo afferma apertamente che nissun interprete ha parlato per Spirito Santo.
L'edizzione che abbiamo è per la maggior parte sua: sarebbe gran cosa attribuire divina assistenza a
chi ha conosciuto et affermato di non averla. Laonde mai si potrà uguagliare tradozzione alcuna al
sacro testo della lingua originale. Pertanto essere di parere che l'edizzione vulgata fosse anteposta a
tutte et approvata, corretta però al testo originale, e fosse vietato ad ogni uno di far altra traslazione,
ma solo si emendasse quella e le altre si estinguessero, e cosí cesserebbono tutti gli inconvenienti
causati dalle nuove interpretazioni che con molto giudicio sono stati notati e ripresi nelle
congregazioni.
Fra Andrea di Vega franciscano, caminando quasi come mediatore tra queste opinioni,
approvò il parere di san Gierolamo, che le qualità dell'interprete non sono spirito profetico o altro
divino speciale che gli dia infallibilità, e la sentenza del medesimo santo e di sant'Agostino
d'emendare le tradozzioni co' testi della lingua originale; soggiongendo però che a questo non
ripugnava il dire insieme che la Chiesa latina abbia per autentica l'edizzione vulgata, perché questo
si debbe intendere: che non vi sia errore alcuno in quella che appartiene alla fede et a' costumi, ma
non in ogni apice et ogni espressione propria delle voci, essendo impossibile, che tutte le voci d'una
lingua siano trasportate in un'altra, senza che v'intervenga ristrizzione et ampliazione de significati o
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metafora o altra figura. Già la volgata edizione esser stata essaminata da tutta la Chiesa per corso di
piú di 1000 anni, e conosciuto che in quella non vi è fallo alcuno nella fede o costumi; et in tal
conto è stata dagli antichi concilii usata e tenuta, e però come tale si debbe tenere et approvare, e si
potrà dicchiarare l'edizzione vulgata autentica, cioè che si può leggere senza pericolo, non
impedendo i piú diligenti di ricorrere a' fonti ebrei e greci, ma ben proibendo tanto numero di
translazioni intiere che generano confusione.
[Senso et interpretazione della Scrittura]
Intorno l'articolo del senso della Scrittura divina, diede occasione di parlare diversamente la
dottrina del già cardinale Gaetano, che insegnò e pratticò egli ancora, cioè di non rifiutare i sensi
nuovi, quando quadrino al testo e non sono alieni dagli altri luoghi della Scrittura e dalla dottrina
della fede, se ben il torrente de' dottori corresse ad un altro, non avendo la divina Maestà legato il
senso della Scrittura a' dottori vecchi; altrimente non resterebbe, né a presenti, né a' posteri, altra
facoltà che di scrivere di libro in quaderno, il che da alcuni de' teologi e padri era approvato e da
altri oppugnato.
A' primi pareva che fosse come una tirannide spirituale il vietare che, secondo le grazie da
Dio donate, non potessero i fedeli essercitare il proprio ingegno e che questo fosse apunto proibire
la mercanzia spirituale de' talenti da Dio donati; doversi con ogni allettamento invitare gli uomini
alla lezzione delle sacre Lettere, dalle quali sempre che si leva quel piacere che la novità porta, tutti
sempre le aborriranno, et una tal strettezza farà applicare li studiosi alle altre sorti di lettere et
abandonare le sacre e per consequenza ogni studio e cura di pietà; questa varietà de' doni spirituali
appartenere alla perfezzione della Chiesa e vedersi nella lettura de' antichi padri, ne' scritti de' quali
è diversità grande e spesso contrarietà, congionta però con strettissima carità. Per qual causa non
dover essere concesso a questo secolo quella libertà che con frutto spirituale hanno goduto gli altri?
Li scolastici nella dottrina di teologia, se ben non hanno tra loro dispute sopra l'intelligenza delle
lettere sacre, avere però non minor differenze ne' ponti della religione, e quelle non meno
pericolose; meglio essere l'immitare l'antichità, che non ha ristretta l'esposizione della Scrittura, ma
lasciata libera.
La contraria opinione portava che, essendo la licenza popolare disordine maggiore della
tirannide, in questi tempi conveniva imbrigliare gli ingegni sfrenati, altrimente non si poteva sperare
di veder fine delle presenti contenzioni: agli antichi tempi esser stato concesso di scrivere sopra i
libri divini, perché, essendovi poche esposizioni, ve ne era bisogno, e gli uomini di quei tempi erano
di vita santa et ingegno composto, che da loro non si poteva temere di confusioni, come al presente.
E per tanto i scolastici teologi, avendo veduto che non vi era piú bisogno nella Chiesa d'altre
esposizioni e che la Scrittura era non solo a bastanza, ma anco abondantemente dichiarata, presero
altro modo di trattare le cose sacre; e vedendo gli uomini inclinati alle dispute, giudicarono che
fosse ben occupargli piú tosto in essamine di raggioni e detti d'Aristotele, e conservare la Scrittura
divina in riverenza, alla quale molto si deroga, quando sia maneggiata communemente e sia materia
de' studii et essercizii de' curiosi. E tanto si passava inanzi con questa sentenzia che fra Ricardo di
Mans franciscano disse i dogmi della fede essere tanto dilucidati al presente dagli scolastici, che
non si doveva imparargli piú dalla Scrittura; la qual è vero che altra volta si leggeva in chiesa per
instruzzione de' popoli e si studiava per l'istessa causa; dove al presente si legge in chiesa solo per
dir orazione, e per questo solo doverebbe anco servire a ciascuno e non per studiare, e questa
sarebbe la riverenza e venerazione debita da ogni uno alla parola Dio. Ma almeno doverebbe esser
proibito il leggerla per ragion di studio a chi non è prima confermato nella teologia scolastica, né
con altri fanno progresso i luterani, se non con quelli che studiano la Scrittura; il qual parere non fu
senza aderenti.
Tra queste opinioni ve ne caminarono due medie: una, che non fosse bene restringere
l'intelligenza della Scrittura a' soli padri, atteso che per il piú i loro sensi sono allegorici e rare volte
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litterali, e quelli che seguono la lettera s'accommodano al loro tempo, sí che l'esposizione non riesce
a proposito per l'età nostra. Essere stato dottamente detto dal cardinale Cusano, di eccellente
dottrina e bontà, che l'intelligenza delle Scritture si debbe accommodar al tempo et esporla secondo
il rito corrente, e non avere per maraviglia se la prattica della Chiesa in un tempo interpreta in un
modo, in un altro, all'altro. E non altrimente l'intese il concilio lateranense ultimo, quando statuí che
la Scrittura fosse esposta secondo i dottori della Chiesa o come il longo uso ha approvato.
Concludeva questa opinione che le nuove esposizioni non fossero vietate, se non quando discordano
dal senso corrente.
Ma fra Dominico Soto dominicano distinse la materia di fede e di costumi dalle altre,
dicendo in quella sola esser giusto tener ogni ingegno tra termini già posti, ma nelle altre non esser
inconveniente lasciare che ogni uno, salva la pietà e carità, abondi nel proprio senso: non essere
stata mente de' padri che fossero seguiti di necessità, salvo che nelle cose necessarie da credere et
operare; né i pontefici romani, quando hanno esposto nelle decretali loro alcun passo della Scrittura
in un senso, aver inteso di canonizare quello, sí che non fosse lecito altrimente intenderlo, pur che
con raggione. E cosí l'intese san Paolo, quando disse che si dovesse usare la profezia, cioè
l'interpretazion della Scrittura, secondo la raggion della fede, cioè riferendola agli articoli di quella;
e se questa distinzione non si facesse, si darebbe in notabili inconvenienti per le contrarietà che si
ritrovano in diverse esposizioni date dagli antichi padri, che repugnano l'una all'altra.
[L'edizione volgata approvata in congregazione]
Le difficoltà promosse non furono di tanta efficacia che nella congregazione de' padri non
fosse con consenso quasi universale approvata l'edizione volgata, avendo fatto potente impressione
nell'animo de' prelati quel discorso che i maestri di grammatica si arrogherebbono d'insegnar a'
vescovi e teologi. E quantonque alcuni pochi sostentassero che fosse ispediente, attese le raggioni
da' teologi considerate, tralasciar quel capo per allora, ma poiché fu risoluto altrimente, posero in
considerazione che, approvandola, conveniva anco commandare che sia stampata et emendata, e
dovendo questo fare, era necessario formare l'essemplare al quale si dovesse formare l'impressione.
Onde di commun concordia furono deputati sei, che attendessero a quella correzzione con
accuratezza, acciò si potesse publicare inanzi il fine del concilio, riservandosi d'accrescer il numero,
quando, tra quei che di nuovo giongessero, vi fosse persona di buona attitudine per quella opera.
Ma nel render i voti sopra il quarto articolo, dopo aver detto il cardinale Pacceco che la
Scrittura era stata esposta da tanti e cosí eccellenti in bontà e dottrina, che non si poteva sperare
d'aggiongere cosa bona di piú, e che le nuove eresie erano tutte nate per nuovi sensi dati alla
Scrittura; però che era necessario imbrigliare la petulanza degli ingegni moderni e farla star
contenta di lasciarsi reggere dagli antichi e dalla Chiesa, et a chi nascesse qualche spirito singolare,
sia costretto tenerlo in sé e non confonder il mondo col publicarlo, concorsero quasi tutti nella
medesima opinione.
La congregazione de' 29 tutta fu consummata sopra il quinto articolo, perché avendo parlato
i teologi con poca risoluzione e col rimetter al voler della sinodo, a quale appartiene far i statuti, i
padri ancora erano ambigui. Il tralasciare afatto l'anatema era un non fare decreto di fede e nel bel
principio rompere l'ordine preso di trattar i 2 capi insieme. Il condannar anco per eretico ogni uno
che non accettasse l'edizione volgata in qualche luogo particolare e forse non importante, e
parimente che publicasse qualche sua invenzione sopra la Scrittura per leggierezza di mente, pareva
cosa troppo ardua. Dopo longa discussione si trovò temperamento di formar il primo decreto e
comprendere in esso quel solo che tocca il catalogo de' libri sacri e le tradizioni, e quello concludere
con anatema. Nel secondo poi, che appartiene alla riforma e dove l'anatema non ha luogo,
comprendere quello che aspetta alla tradozzione e senso della Scrittura, come che il decreto sia un
rimedio all'abuso di tante interpretazioni et esposizioni impertinenti.
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[Abusi a riformare intorno alla Scrittura]
Restava parlare degli altri abusi, de quali ciascuno aveva raccolto numero grande et in quello
adunati innumerabili modi come la debolezza e superstizione umana si vale delle cose sacre, non
solo oltre, ma anco contra quello perché sono instituite. Delle incantazioni per trovar de tesori et
effettuare lascivi dissegni o ottenere cose illecite fu assai parlato e proposti molti rimedii per
estirparle. Tra le incantazioni ancora fu posto da alcuni il portar adosso Evangelii, nomi di Dio per
prevenir infermità o guarire d'esse, overo per essere guardato da mali et infortunii, o per aver
prosperità, il leggergli medesimamente per gl'istessi effetti e lo scrivergli con osservazioni de tempi;
furono nominate in questo catalogo le messe che in alcune reggioni si dicono sopra il ferro
infuocato, sopra le acque bollenti o fredde, o altre materie per le purgazioni volgari, il recitare
Evangelii sopra le arme, acciò abbiano virtú contra gli inimici. In questa serie erano poste le
congiurazioni de' cani che non mordano, de' serpi che non offendano, delle bestie nocive alle
campagne, delle tempeste et altre cause di sterelità della terra, ricercando che tutte queste
osservazioni come abusi fossero condannate, proibite e punite. Ma in diversi particolari passarono
alle contradizzioni e dispute, difendendo alcuni, come cose devote e religiose, o almeno permesse e
non dannabili, quelle che da altri erano condannate per empie e superstiziose, il che avvenne
parimente parlando della parola di Dio per sortilegii o divinazioni, o estraendo polize con versi della
Scrittura, overo osservando gli occorrenti aprendo il libro. Il valersi delle parole sacre in libelli
famosi et altre detrazzioni fu universalmente dannato, e parlato assai del modo come levare le
pasquinate di Roma, nel che mostrò il cardinal del Monte gran passione nel desiderare rimedio, per
esser egli, attesa la libertà e giocondità del suo naturale, preso molto spesso da' cortegiani per
materia della loro dicacità. Tutti concordavano che la parola di Dio non può mai esser tenuta in
tanta riverenzia che sodisfaccia al debito, e che il valersi di quella anco per lodare gli uomini,
eziandio prencipi e prelati, non è condecente, e generalmente ogni uso d'essa in cosa vana era
peccato; ma però non doveva il concilio occuparsi in ciò, non essendo congregati per fare
provisione a tutti i mancamenti; né doversi proibire assolutamente che non siano tirate le parole
della Scrittura alle cose umane, perché santo Antonino nell'istoria sua non condannò gl'ambasciatori
siciliani che domandando perdono a Martino IV in publico consistorio, esposero l'ambasciata non
con altre parole, se non dicendo tre volte: «Agnus Dei qui tollis peccata mundi, miserere nobis»; né
la risposta del papa, che disse parimente tre volte: «Ave Rex Iudeorum, et dabant illi alapas». Però
esser stata una malignità de' luterani il riprendere il vescovo di Bitonto, che nel sermone fatto nella
sessione publica dicesse, a chi non accetterà il concilio potersi dire: «Papæ lux venit in mundum, et
dilexerunt homines magis tenebras quam lucem». Tante congregazioni furono consumate in questo,
e tanto cresceva il numero et appariva la debolezza de' rimedii proposti, che la commune openione
inclinò a non fare menzione particolare d'alcuno d'essi, né descender a' rimedii appropriati, né a
pene particolari, ma solo proibirgli sotto i capi generali e rimetterle pene all'arbitrio de' vescovi.
Degl'abusi delle stampe si parlò, né vi fu molto che dire, sentendo tutti che fosse posto freno alli
stampatori e fosse loro vietato stampare cosa sacra che non fosse approvata; ma che perciò bastasse
quello che dall'ultimo concilio lateranense fu statuito.
Ma intorno le lezzioni e predicazioni s'eccitarono gravissime controversie. I frati regolari,
già in possesso di queste fonzioni, cosí per privilegii ponteficii, come per averle essercitate soli per
300 anni, con tutte le forze operavano per conservarle; et i prelati, allegando che erano proprie loro
et usurpate, pretendevano la restituzione; e perché non si contendeva qui d'openioni, ma d'utilità,
oltre le raggioni erano da ambedue le parti adoperati gli effetti, e queste differenze erano per
causare che al tempo della sessione niente fosse deciso: perilché i legati risolsero di differire questi
doi punti ad un'altra sessione. Furono, secondo le risoluzioni prese, formati i doi decreti, e nella
ultima congregazione letti et approvati con qualche eccezzioni nel capo dell'edizione volgata, in
fine della quale il cardinal del Monte, dopo avere lodato la dottrina e prudenza di tutti, gli ammoní
del decoro che conveniva usare nella publica sessione, mostrando un cuore et un'anima istessa,
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poiché nelle congregazioni le materie erano essaminate sufficientemente; et il cardinal Santa Croce,
finita la congregazione, radunò quelli che avevano opposto al capo della volgata, e mostrò loro che
non potevano dolersi, perché non era vietato, anzi restava libero il poter emendarla e l'avere ricorso
a' testi originali, ma solo vietato il dire che vi fossero errori in fede, per quali dovesse essere reietta.

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