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giovedì 6 giugno 2013

Paolo Sarpi : Morte Leone X , elezione Adriano VI e tentativi di riforma della Chiesa

Dall' "Istoria del Concilio Tridentino" Libro I


[Il papa in queste ambiguità si muore e gli succede Adriano VI]
In questo stato di cose, nel fine dell'anno 1521, passò di questa vita papa Leone. E nel
principio dell'anno seguente, a 9 di genaro, fu creato Adriano, la cui assonzione al pontificato,
essendo fatta di persona che mai era stata veduta in Roma, incognita ai cardinali et alla corte e che
allora si ritrovava in Spagna, e, del rimanente, era anco opinione del mondo ch'egli non approvasse i
costumi romani et il libero modo di vivere de' corteggiani, rivoltò i pensieri di tutti a questo; in
modo che le novità luterane non erano piú in nissuna considerazione. Temevano alcuni ch'egli fosse
pur troppo inclinato alla riforma, altri che chiamasse a sé i cardinali e portasse fuori d'Italia la sede
romana, come altre volte era intervenuto; ma presto restarono quieti di tanto timore. Perché il novo
pontefice il dí seguente doppo avuto l'aviso della sua elezzione (che fu il 22 dell'istesso mese, nella
città di Vittoria in Biscaglia), non aspettati i legati che gli erano mandati dal collegio de' cardinali
per significargliela et aver il suo consenso, congregati quei pochi prelati che poté avere, consentí
all'elezzione, et assonto l'abito e le insegne si dicchiarò pontefice e non differí a passar in
Barcellona, dove scrisse al collegio de' cardinali la causa perché aveva assonto il nome et il carico
di pontefice e s'era posto in viaggio senza aspettar i legati, commettendo anco loro che ciò facessero
noto per tutta Italia. Fu costretto aspettar in Barcellona tempo opportuno per passar il golfo di Lione
assai pericoloso; non però differí piú di quanto era necessario ad imbarcarsi per venir in Italia, e vi
arrivò in fine d'agosto del 1522.
[Adriano VI pensa a' rimedii alle novità, cominciando per una leggera riforma in Roma]
Ritrovò Adriano tutta Italia in moto per la guerra tra Cesare et il re di Francia, la Sede
apostolica immersa in guerra particolare con li duchi di Ferrara et Urbino, Arimini nuovamente
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occupato da Malatesti, i cardinali divisi e diffidenti, l'assedio posto da turchi all'isola di Rodi, tutte
le terre della Chiesa essauste et in estrema confusione per 8 mesi di anarchia; nondimeno applicò
principalmente il pensiero a componere le discordie della religione in Germania, e come quello
ch'era dalla fanciullezza nodrito, allevato et abituato nelli studii della scolastica teologia, teneva
quelle opinioni per cosí chiare et evidenti, che non credeva poter cadere il contrario in animo
d'alcun uomo ragionevole. Perilché non dava altro titolo alla dottrina di Lutero, se non d'insipida,
pazza et irragionevole, e giudicava che nissuna persona, se non qualche pochi sciocchi, la
credessero, e che il seguito che Martino aveva fosse di persone che in sua conscienzia tenessero per
indubitate l'opinioni romane, fingendo altrimenti, irritati dalle oppressioni. E però essere cosa
facilissima estinguere quella dottrina, che non era fondata salvo che sopra gl'interessi; onde pensava
che col dare qualche sodisfazzione, facilmente si risanarebbe quel corpo, quale piú tosto faceva
sembiante d'essere infermo che in verità lo fosse. E per esser egli nativo d'Utrech, città di Germania
inferiore, sperava che tutta la nazione dovesse facilmente porger orecchie alle proposte sue et
interessarsi anco a sostenere l'autorità sua, come d'uomo germano e per tanto sincero, che non
trattasse con arti e per fini occulti. E tenendo per fermo ch'importasse molto l'usare celerità, deliberò
far la prima proposizione nella dieta che si preparava a Noremberg: la quale, acciò fosse gratamente
udita e le sue promesse fossero stimate reali, inanzi che trattar cosa alcuna con essi loro, pensava
necessario dar saggio con principio di reforma, levando li abusi stati causa delle dissensioni. A
questo effetto chiamò a Roma Giovanni Pietro Caraffa, arcivescovo di Chieti, e Marcello Cazele
gaetano, uomini stimati di bontà e costumi irreprensibili, e molto periti delle cose spettanti alla vera
disciplina ecclesiastica, acciò col consiglio loro e delli cardinali piú suoi confidenti trovasse qualche
medicina alle piú importanti corrutele: tra quali prima si rappresentava la prodigalità delle
indulgenze, per aver ella aperta la via al credito acquistato da' nuovi predicatori in Germania.
Il pontefice, come teologo che già aveva scritto questa materia prima che mai Lutero
pensasse di trattarla, era in parere di stabilire per decreto apostolico e come papa quella dottrina che,
come privato, aveva insegnata e scritta: cioè che, concessa indulgenza a chi farà una tal pia opera, è
possibile che da alcuno l'opera sia esseguita in tanta perfezzione che conseguisca l'indulgenza; se
però l'opera manca di quella essattezza, l'operante non ottiene quella indulgenza tutta, ma solo tanta
parte che a proporzione corrisponda all'opera imperfetta. Riputava il pontefice che in questa
maniera non solo fosse proveduto per l'avvenire ad ogni scandalo, ma anco rimediato alli passati;
poiché potendo ogni minima opera essere cosí ben qualificata di circostanze che meriti ogni gran
premio, restava risoluta l'obiezzione fatta da Lutero, come per l'oblazione d'un danaro s'acquistasse
un tanto tesoro; e poiché per difetto dell'opera, chi non guadagna tutta l'indulgenza, ne ottiene però
una parte proporzionata, non si ritiravano i fedeli dal cercare l'indulgenze.
[Il papa è dissuaso dal cardinal Gaetano]
Ma frate Tomaso da Gaeta, cardinale di San Sisto, teologo consumato, lo dissuadeva,
dicendogli che ciò era un publicare quella verità, la quale per salute delle anime era meglio ritenere
secreta appresso gli uomini dotti e ch'era piú tosto disputabile che decisa. Perilché anco esso, qual
vivamente in conscienza la sentiva, nello scrivere però l'aveva in tal maniera portata che solo gli
uomini consumatissimi potevano dalle sue parole cavarla. La qual dottrina quando fosse divulgata
et autorizata, vi sarebbe pericolo che gl'uomini eziandio letterati non concludessero da quella che la
concessione del papa non giova niente, ma tutto dev'essere attribuito alla qualità dell'opera, cosa che
diminuirebbe affatto il fervore in acquistare l'indulgenze e la stima dell'autorità pontificia. Aggionse
il cardinale che doppo l'avere, per commandamento di Leone, fatto essatto studio in questo soggetto
l'anno medesimo che nacquero le contenzioni in Germania, e scrittone un pieno trattato, l'anno
seguente, essendo legato in Augusta, ebbe occasione di ventilarlo e trattarne piú diligentemente,
parlando con molti et essaminando le difficoltà e motivi che turbavano quelle provincie, et in due
colloqui ch'ebbe con Lutero in quella città, discusse pienamente la materia, la quale avendo ben
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digerita, non dubitava di poter dire asseverantemente e senza pericolo di prender errore ch'altra
maniera non vi era di rimediare ai scandali passati, presenti e futuri che ritornando le cose al suo
principio. Essere cosa chiara che, quantunque il papa possi liberare col mezo delle indulgenze i
fedeli da qualsivoglia sorte di pena, legendo però le decretali, chiaramente apparisce l'indulgenza
essere un'assoluzione e liberazione dalle pene imposte nella confessione solamente. Perilché,
ritornando in osservanzia i canoni penitenziali andati in desuetudine, et imponendo, secondo quelli,
le condecenti penitenze, ognuno chiaramente vedrebbe la necessità et utilità delle indulgenze e le
cercherebbe studiosamente per liberarsi dal gran peso delle penitenze, e ritornerebbe l'aureo secolo
della Chiesa primitiva, nel quale i prelati avevano assoluto governo sopra i fedeli, non per altro, se
non perché erano tenuti in continuo essercizio con le penitenze; dove ne' tempi che corrono, fatti
oziosi, vogliono scuotersi dalla obedienza. Il popolo di Germania che, sepolto nell'ozio, presta
orecchie a Martino che predica la libertà cristiana, se fosse con penitenze tenuto in freno, non
pensarebbe a questa novità, e la Sede apostolica potrebbe farne grazia a chi le riconoscesse da lei.
[Il parere del cardinal Gaetano di rimetter su l'uso delle penitenze antiche è rifiutato da'
deputati alla riforma]
Piaceva al pontefice questo parere come fondato sopra l'autorità, et al quale non vedeva che
opposizione potesse esser fatta. Lo fece proporre in penitenziaria per trovar modo e forma come
metterlo in uso prima in Roma, poi in tutta la cristianità. Furono fatte per ciò diverse radunanze
dalli deputati sopra la riforma insieme con li penitenzieri per trattare come pratticarlo; e tante
difficultà si vedevano attraversare, che finalmente Lorenzo Puccio, fiorentino, cardinale di Santi
Quattro, che fu datario di papa Leone e ministro diligente per ritrovar danari, come già s'è detto, et
ora era sommo penitenziero, col parer universale riferí al pontefice ch'era stimata irreuscibile la
proposta, e che quando fosse tentata, in luogo di rimediare alli presenti mali, n'averebbe suscitati di
molto maggiori. Che le pene canoniche erano andate in disuso perché, mancato il fervor antico, non
si potevano piú sopportare; però, volendo ritornarle, era necessario prima ritornare l'istesso zelo e
carità nella Chiesa. Che il presente secolo non era simile alli passati, ne' quali tutte le deliberazioni
della Chiesa erano ricevute senza pensarci piú oltre, là dove al presente ogni uno vuol farsi giudice
et essaminare le ragioni. Il che, se si vede farsi nelle cose che nulla o poco di gravezza portano seco,
quanto maggiormente in una che sarebbe gravissima. Esser vero che il rimedio è appropriato al
male, ma supera le forze del corpo infermo, et in luogo di guarirlo, sarebbe per condurlo a morte, e
pensando di racquistar la Germania, farebbe perdere l'Italia prima, et alienare quella maggiormente.
Soggionse il cardinale: «Mi par d'udir uno che dica come san Pietro: "Perché tentar Dio, imponendo
sopra le spalle de' discepoli quello che né noi, né i padri nostri abbiamo potuto sopportare?'». Si
ricordasse Sua Santità di quel celebre luogo della glosa allegata da lei nel suo quarto delle sentenze,
che intorno al valore delle indulgenze la querela è vecchia et ancor dubia. Considerasse le quattro
opinioni tutte catoliche e tanto diverse che quella glosa riferisce. Da che appare chiaro che la
materia ricerca in questi tempi piú tosto silenzio, che altra discussione.
[Adriano, perplesso, è raffermato dal cardinal Soderini]
Penetrarono queste ragioni nell'animo d'Adriano e lo resero incerto di quello che dovesse
fare, e tanto piú perplesso, quanto non trovava minor difficoltà nelle altre cose che s'era proposto in
animo di riformare. Nella materia delle dispense matrimoniali, il levar molte delle proibizioni di
contrattare matrimonio tra certo genere di persone, che parevano superflue e difficili da osservare, a
che egli molto inclinava e sarebbe stato gran sollevamento al popolo, era biasimato da molti come
cosa che ralentasse il nervo della disciplina; il continuarle prestava materia alli luterani di dire
ch'erano per trar danari. Il restringer le dispense ad alcune qualità di persone era un dare nova
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materia di querimonie alli pretendenti che nelle cose spirituali et in quello che al ministerio di Cristo
appartiene non vi sia differenzia alcuna di persone. Il levare le spese pecuniarie per queste cose non
si poteva fare senza ricomprare gli ufficii venduti da Leone, li compratori de' quali traevano
emolumenti da questo. Il che anco impediva da levare i regressi, accessi, coadiutorie et altri modi
usati nelle collazioni de' beneficii, che avevano apparenza (se, piú veramente, non si deve dir
essenza) di simonia. Il ricomprare gli ufficii era cosa impossibile, attese le gran spese ch'era
convenuto fare e tuttavia continuare. E quel che piú di tutto gli confondeva l'animo era che quando
aveva deliberato di levare qualche abuso, non mancava chi con qualche colorata apparenza pigliava
a sostenere che fosse cosa buona o necessaria. In queste ambiguità afflisse il pontefice l'animo suo
sino al novembre, desideroso pure di fare qualche notabile provisione che potesse dar al mondo
saggio dell'animo suo, risoluto a porgere rimedio a tutti gli abusi prima che incomminciare a trattar
in Germania.
In fine lo fermò e fece venir a risoluzione Francesco Soderino, cardinale prenestino,
chiamato di Volterra, allora suo confidentissimo, se bene doppo entrò cosí inanzi nella disgrazia sua
che lo fece anco impriggionare. Questo cardinale, versatissimo nelli maneggi civili et adoperato
nelli pontificati d'Alessandro, Giulio e Leone, pieni di varii et importanti accidenti, in ogni
ragionamento col pontefice andava gettando parole che potessero instruirlo: li commendava la bontà
et ingenuità sua e l'animo inclinato alla riforma della Chiesa et all'estirpazione dell'eresie;
aggiongendo però che non poteva avere laude della sola buona intenzione, insufficiente da se stessa
per far il bene, se non vi s'aggiongesse un'essatta elezzione de' mezzi opportuni et un'essecuzione
maneggiata con somma circonspezzione. Ma quando lo vidde costretto dall'angustia del tempo a
risolversi, li disse non esservi speranza di confondere et estirpare i luterani con la correzzione de'
costumi della corte; anzi questo esser un mezo d'aummentare a loro molto piú il credito. Imperoché
la plebe, che sempre giudica dalli eventi, quando per l'emenda seguita restarà certificata che con
ragione il governo pontificio era ripreso in qualche parte, si persuaderà similmente ch'anco l'altre
novità proposte abbiano buoni fondamenti, e gli eresiarchi, vedendo d'averla vinta in una parte, non
cesseranno di riprendere l'altre. In tutte le cose umane avvenire che il ricevere sodisfazzione in
alcune ricchieste dà pretensione di procacciarne altre e di stimare che siano dovute; che leggendo le
passate istorie, dai tempi che sono state eresie contra l'autorità della Chiesa romana, si vedrà tutte
aver preso pretesto dalli costumi corrotti della corte. Con tutto ciò mai nissuno pontefice riputò utile
mezo il riformarli, ma sí bene, doppo usate le ammonizioni et instruzzioni, indurre i prencipi a
proteggere la Chiesa. Quello che per il passato è riuscito, doversi tenere et osservar sempre: nissuna
cosa far perire un governo maggiormente che il mutar i modi di reggerlo; l'aprire vie nuove e non
usate esser un esporsi a gravi pericoli e sicurissima cosa essere caminare per i vestigii de' santi
pontefici che sempre hanno avuto essito felice delle loro imprese. Nissuno aver mai estinto l'eresie
con le riforme, ma con le crucciate e con eccitare i prencipi e popoli all'estirpazione di quelle. Si
ricordasse ch'Innocenzo III con tale mezo oppresse felicemente gli albigesi di Linguadoca et i
pontefici seguenti non con altri modi estinsero in altri luoghi i valdesi, piccardi, poveri di Lione,
arnaldisti, speronisti e patarini, sí che al presente resta il solo nome. Non essere per mancare
prencipi in Germania, i quali (concedendo loro la Sede apostolica d'occupare lo Stato de' fautori de'
luterani) debbano avidamente ricevere la condizione, e facendo loro seguito de popoli con le
indulgenze e remissioni a chi anderà a quel soccorso. Li considerò anco il cardinale che non era da
pensare alli moti di religione in Germania come se non vi fosse altro pericolo imminente alla Sede
apostolica, perché soprastava la guerra d'Italia, cosa di maggior pericolo, alla quale era necessario
applicare principalmente l'animo: nel maneggio della quale, se si ritrovasse senza nervo, che è il
danaro, potrebbe ricevere qualche notabil incontro, e nissuna riforma potersi fare la quale non
diminuisca notabilmente l'entrate ecclesiastiche, le quali avendo 4 fonti, uno temporale, le rendite
dello Stato ecclesiastico, gli altri spirituali, l'indulgenze, le dispense e la collazione de' beneficii,
non si può otturar alcuno di questi, che le entrate non restino troncate in un quarto.
Il papa, conferendo questi discorsi con Gulielmo Encourt, che poi creò cardinale, e
Teodorico Hezio, suoi familiari e confidentissimi, affermava essere misera la condizione de'
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pontefici, poiché vedeva chiaro che non potevano far ben neanco volendo e faticandosene, e
concluse che non era possibile inanzi l'espedizione che doveva far in Germania mandar ad effetto
alcun capo di riforma, e che bisognava che si contentassero di credere alle sue promesse, le quali
era risoluto di mantenere, quando anco avesse dovuto ridursi senza alcun dominio temporale et anco
alla vita apostolica. Diede però stretta commissione ad ambidue, uno de' quali era datario e l'altro
secretario, che nella concessione delle indulgenze, nelle dispense, ne' regressi e coadiutorie si
usasse parcità, sin tanto che si trovasse come regolarlo con legge e perpetua constituzione. Le quali
cose avendo io letto diffusamente narrate in un diario del vescovo di Fabriano, dove tenne memoria
delle cose notabili da lui vedute et udite, ho voluto riportarle qui sommariamente, dovendo servir
molto all'intelligenza delle cose che si diranno.
[Adriano manda il vescovo di Fabriano in una dieta in Norimberga]
Nel primo concistorio di novembre, col parere de cardinali, destinò Francesco Chiericato,
conosciuto da lui in Spagna e vescovo di Fabriano, (il quale ho nominato poco fa) per noncio alla
dieta di Noremberga, che si celebrava senza la presenza di Cesare, quale alcuni mesi inanzi era stato
sforzato passar in Spagna per quietar i tumulti e sedizioni nate in quei regni. Arrivò il noncio a
Noremberga nel fine dell'anno, e presentò le lettere del pontefice agli elettori, prencipi et oratori
delle città, scritte in commune sotto il 25 novembre, nelle quali si doleva prima che, essendo stato
Martino Lutero condannato per sentenza di Leone e la sentenza esseguita per un editto imperiale in
Vormazia, publicato per tutta Germania, nondimeno egli perseverasse nelli medissimi errori,
publicando continuamente libri pieni d'eresie, e fosse favorito non solo da' plebei, ma anco da'
nobili; soggiongendo che, se ben predisse l'apostolo che le eresie erano necessarie per essercizio de'
buoni, quella necessità, però, era tolerabile nelle opportunità de' tempi, non in quelli ne' quali,
trovandosi la cristianità oppressa dall'arme de' turchi, si doveva mettere ogni studio per purgare il
mal interno; che il danno et il pericolo, qual da se stesso porta, impedisce anco l'adoperarsi contra
un tanto inimico. Essorta poi i prencipi et i popoli a non monstrarsi di consentire a tanta sceleratezza
col tolerarla longamente. Gli rappresenta essere cosa vergognosissima che si lascino condurre da un
fraticello fuora della via de' loro maggiori, quasi che solo Lutero intenda e sappia. Gli avvertisce
che se i seguaci di Lutero hanno levato l'obedienza alle leggi ecclesiastiche, molto maggiormente
vilipenderanno le secolari, e se hanno usurpato i beni della Chiesa, meno si asteneranno da quei de
laici, et avendo ardito di mettere mano nelli sacerdoti di Dio, non perdoneranno alle case, mogli e
figlioli loro. Gli essorta che se non potranno con le dolcezze ridur Martino et i suoi seguaci nella
dritta via, venghino ai rimedii aspri e di fuoco, per risecare dal corpo i membri morti, come fu fatto
ne' tempi antichi a Datan et Abiron, ad Anania e Saffira, a Gioviniano e Vigilanzio, e finalmente
come i maggiori fecero contra Giovanni Hus e Gieronimo da Praga nel concilio di Costanza,
l'essempio de' quali, quando non possino far altramente, debbono immitare. Infine si rimette, cosí in
quel particolare come in altri negozii, alla relazione di Francesco Chiericato suo noncio. Scrisse
anco lettere quasi a tutti i prencipi con gl'istessi concetti: all'elettore di Sassonia, in particolare,
scrisse che ben considerasse qual macchia sarebbe stata alla sua posterità avendo favorito un
frenetico che metteva confusione in tutto 'l mondo con invenzioni empie e pazze, rivoltando la
dottrina stabilita col sangue de' martiri, vigilie de santi dottori et armi di tanti prencipi fortissimi,
caminasse per i vestigii de suoi maggiori, non lasciandosi abbagliare gli occhi dalla rabbia d'un
omicciuolo a seguire gli errori dannati da tanti concilii.
[Questo noncio presenta la sua instruzione in dieta]
Presentò il noncio alla dieta non solo il breve del papa, ma ancora la sua instruzzione, nella
quale gli era commesso di essortar i prencipi ad opporsi alla peste luterana con 7 ragioni. Prima,
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perché a ciò li doveva movere il culto di Dio e la carità verso il prossimo; secondariamente, la
infamia della loro nazione; terzo, il loro onor proprio, mostrandosi non degenerare dalli loro
progenitori che intervennero alla condannazione di Giovanni Hus in Costanza e delli altri eretici,
conducendone alcuni d'essi con le proprie mani al fuogo, e non volessero mancare della propria
parola e costanza, avendo la maggior parte d'essi approvato l'editto imperiale contra Lutero; quarto,
gli doveva muovere l'ingiuria fatta da Lutero ai loro progenitori publicando un'altra fede che la
creduta da essi e concludendo per conseguenza che tutti siano all'inferno; quinto, si debbano
muovere dal fine che i luterani pretendono, che è voler snervare la potestà secolare doppo che
averanno anichilata l'ecclesiastica con falso pretesto che sia usurpata contra l'Evangelio, se ben
astutamente mostrano di salvar la secolare per ingannarli. Nel sesto luogo considerino le dissensioni
e turbulenze che quella setta eccita in Germania, e finalmente avvertano che Lutero usa la medisima
via usata già da Mahometo, permettendo che siano saziate l'inclinazioni carnali, se ben mostra di
farlo con maggior modestia per piú efficacemente ingannarli. E se alcuno dicesse Lutero esser stato
condannato non udito e non difeso, e però che sia conveniente udirlo, debbia responder: essere
giusto udirlo in quello che tocca al fatto, cioè se ha predicato, scritto o non; ma sopra le cose della
fede o la materia de' sacramenti ciò non esser conveniente, percioché non s'ha da metter in dubbio
quello che una volta è stato approvato da' concilii generali e da tutta la Chiesa. Poi gli dà
commissione il pontefice di confessar ingenuamente che questa confusione fosse nata per li peccati
degli uomini, massime de' sacerdoti e prelati, confessando che in quella Santa Sede, già alcuni anni,
sono state fatte molte cose abominevoli, molti abusi nelle cose spirituali, molti eccessi ne' precetti e
finalmente tutte le cose mutate in male, in maniera che si possa dire che l'infermità sia passata dal
capo alle membra, da sommi pontefici agli inferiori prelati, sí che non vi sia stato chi faccia bene né
pur uno. Alla correzzione del qual male egli, per propria inclinazione e debito, è deliberato
adoperarsi con tutto lo spirito et usar ogni opera acciò che innanzi ogni altra cosa la corte romana,
donde forse tanto mal è proceduto, si reformi. Il che tanto piú farà, quanto vede che tutto 'l mondo
avidamente lo desidera. Niuno però dover meravigliarsi se non vederà cosí subito emendati tutti gli
abusi. Perché, essendo il male invecchiato e fatto moltiplice, bisogna a passo a passo procedere
nella cura e cominciar dalle cose piú gravi per non turbar ogni cosa col voler fare tutto insieme. Gli
commise ancora che promettesse per suo nome che egli gli osservarebbe i concordati e che
s'informarebbe de' processi avvocati dalla rota, per rimetterli ad partes secondo la giustizia. Et in
fine che sollecitasse i prencipi e stati per nome suo a rispondere alle lettere et informarlo de' mezi
per li quali si potesse ovviar piú commodamente ai luterani. Oltre l'aver presentato il breve del papa
e l'informazione, propose anco il noncio che in Germania si vedeva quasi per tutto i religiosi uscir
de' monasteri e ritornar al secolo et i preti maritarsi con gran sprezzo e vilipendio della religione, e
la maggior parte di loro commetter anco molti eccessi et enormità; per il che era necessario che
fosse pigliata provisione, per la quale questi sacrileghi matrimonii fossero separati, gli autori
severamente puniti, e gli apostati rimessi nella potestà de' loro superiori.
[La dieta risponde a' capi della proposta del noncio]
Fece la dieta risposta al noncio in iscritto, dicendo d'aver letto con reverenza il breve del
pontefice e l'istruzzione presentata nel negozio della fazzione luterana, e render grazie a Dio della
assonzione di Sua Beatitudine al pontificato, pregandole dalla Maestà divina ogni felicità. E (dopo
aver detto quello che occorreva circa la concordia tra prencipi cristiani e la guerra contra turchi)
quanto alla domanda d'esseguire la sentenza promulgata contra Lutero e l'editto di Vormes,
risposero essere paratissimi ad impiegar ogni loro potere per estirpare gli errori, ma aver tralasciato
d'esseguir la sentenza e l'editto per grandissime et urgentissime cause: imperoché la maggior parte
del popolo era persuasa da libri di Lutero che la corte romana avesse inferiti molti gravami alla
nazione germanica; onde se si fosse fatta alcuna cosa per l'essecuzione della sentenza, la
moltitudine sarebbe entrata in sospetto che si facesse per sostentare e mantenere gli abusi e
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l'impietà, e ne sarebbono nati tumulti populari con pericolo di guerre civili. Per tanto esser di
bisogno in simili difficoltà di rimedii piú opportuni, particolarmente confessando esso noncio, per
nome del pontefice, che questi mali venivano per li peccati degli uomini e promettendo la riforma
della corte romana: gli abusi della quale, se non fossero emendati e levati i gravami e riformati
alcuni articoli, che i prencipi secolari darebbono in iscritto, non era possibile metter pace tra gli
ecclesiastici e secolari, né estirpar i presenti tumulti. E perché la Germania avea consentito al
pagamento delle annate, con condizione che s'impiegassero nella guerra contra i turchi, e ch'essendo
state tanti anni pagate, né mai convertite in quel uso, pregavano il pontefice che per l'avvenire non
avesse la corte romana cura d'essigerle, ma fossero lasciate al fisco dell'Imperio per le spese di
quella guerra. Et a quello che Sua Santità ricercava conseglio de' mezi con i quali si potesse ovviar a
tanti inconvenienti, risposero che dovendosi trattar non di Lutero solo, ma tutt'insieme d'estirpar
molti errori e vizii radicati per invecchiata consuetudine con diversi rispetti, da chi per ignoranza,
da chi maliziosamente difesi, nissun altro rimedio giudicavano piú commodo, efficace et opportuno
che se la Santità Sua, con consenso della Maestà Cesarea, convocasse un concilio pio, libero e
cristiano quanto piú presto fosse possibile, in un luogo conveniente in Germania: cioè in Argentina,
in Mogonza, in Colonia, overo in Metz, non differendo la convocazione piú d'un anno, e che in quel
concilio a ciascheduno, cosí ecclesiastico, come secolare, fosse concesso di poter parlare e
consegliare a gloria di Dio e salute dell'anime, non ostante qualonque giuramento e obligazione. Il
che tenendo dovere esser esseguito da Sua Santità con prontezza e celerità, né volendo restar di far
al presente quelle megliori provisioni che possibili siano per il tempo intermedio, aveano deliberato
di procurar con l'elettore di Sassonia che i luterani non scrivessero né stampassero altro, e che per
tutta Germania i predicatori, tacciute le cose che potevano muover tumulto popolare, dovessero
predicar sinceramente e puramente il santo Evangelio secondo la dottrina approvata dalla Chiesa,
non movendo dispute, ma riservando sino alla determinazione del concilio tutte le controversie. Che
i vescovi deputassero uomini pii e letterati per sopraintender a predicatori, informarli e correggerli,
ma in maniera che non si potesse sospettare che fosse per impedire la verità evangelica: che per
l'avvenire non si stampi cosa nuova, se non veduta e riconosciuta da uomini di probità e dottrina:
sperando con questi mezi d'ovviare a tumulti, se la Santità Sua farà la debita provisione a gravami et
ordinarà un libero e cristiano concilio, sperando che cosí i tumulti si quietarebbono e la maggior
parte si ridurebbe a tranquillità. Perché gli uomini da bene aspettarebbono senza dubbio la
deliberazione del concilio, quando vedessero che si fosse per celebrare presto. Quanto ai preti che si
maritavano e religiosi che ritornavano al secolo, perché nelle leggi civili non vi era pena, pensavano
che bastasse se fossero puniti dalli ordinarii con le pene canoniche. Ma se commetteranno alcuna
sceleratezza, il prencipe overo podestà, nel territorio de' quali falliranno, lor dovrà dare il debito
castigo.
[Poco gusto d'esso noncio]
Il noncio non restò sodisfatto di questa risposta e venne in risoluzione di replicare. E prima,
quanto alla causa, perché non si fosse esseguita la sentenza del papa e l'editto dell'imperatore contra
Lutero, disse non sodisfare la ragione allegata che si fosse restato per fugir i scandali, non
convenendo tolerar il male acciò ne venga il bene e dovendo tenere piú conto della salute dell'anime
che della tranquillità mondana. Aggionse che non si dovevano scusar i seguaci di Lutero colli
scandali e gravami della corte romana, perché, se ben fossero veri, non però si doveano partire
dall'unità catolica, ma piú tosto sopportar pazientissimamente ogni male. Onde li pregava per
l'essecuzione della sentenza e dell'editto inanzi che la dieta si finisse; e se la Germania era in alcun
conto gravata dalla corte romana, la Sede apostolica sarebbe pronta di sollevarla, e se vi fossero
discordie tra gli ecclesiastici et i prencipi secolari, il pontefice le componerebbe et estinguerebbe.
Quanto alle annate, altro non diceva per allora, poiché opportunamente Sua Santità avrebbe dato
risposta. Ma quanto alla domanda del concilio, replicò che sperava non dover dispiacer a Sua
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Santità se l'avessero domandato con parole piú convenienti e però ricercava che fossero levate tutte
quelle che potessero dar qualche ombra alla Beatitudine Sua: come quelle parole che il concilio
fosse convocato col consenso della Maestà Cesarea, e quelle altre che il concilio fosse celebrato piú
in una città che in un'altra, perché, se non si levavano, pareva che volessero legar le mani alla
Santità Sua, cosa che non averebbe fatto buon effetto. Quanto a predicatori, ricercò che si
osservasse il decreto del pontefice che per l'avvenire nissuno potesse predicar, se la dottrina sua non
fosse essaminata dal vescovo. Quanto agli stampatori e divulgatori de' libri, replicò che in nissun
modo gli piaceva la risposta; che dovessero esseguir la sentenza del papa e dell'imperatore, che i
libri si abbrugiassero e fossero puniti i divulgatori d'essi, instando et avvertendo che in questo stava
il tutto. E quanto ai libri da stamparsi, si dovesse servare il moderno concilio lateranense. Ma
quanto ai preti maritati, la risposta non gli sarebbe dispiaciuta, s'ella non avesse avuto un aculeo alla
coda, mentre si diceva che, se commetteranno qualche sceleratezza, saranno puniti dai prencipi o
potestà. Perché questo sarebbe contra la libertà ecclesiastica, e si metterebbe la falce nel campo
d'altri, e si toccarebbono quelli che sono riservati a Cristo. Conciosiacosa che non dovevano i
prencipi presumer di creder che per l'apostasia si divolvessero alla loro giurisdizzione, né potessero
esser castigati da loro degli altri delitti; imperoché restando in loro il carattere e l'ordine, sono
sempre sotto la potestà della Chiesa; né possono far altro i prencipi che denonciarli a loro vescovi e
superiori, che li castighino. Concludendo in fine, ricercarli ad aver sopra le suddette cose piú matura
deliberazione e dar risposta megliore, piú chiara, piú sana e meglio consultata.
Nella dieta non fu gratamente veduta la replica del noncio, e communemente tra quei
prencipi si diceva il noncio aver una misura del bene e del male per sola rilazione all'utilità della
corte e non alla necessità della Germania; la conservazione dell'unità catolica dover maggiormente
muovere a far il bene, facile da essequire, che a sopportar il male, difficile a tolerare. E nondimeno
il noncio ricercava che la Germania sopportasse pazientissimamente le oppressioni inferitegli dalla
corte romana, non volendo essa piegarsi pur un poco al bene, anzi piú tosto a desister dal male, se
non colle sole promesse. Et averebbe mostrato troppo vivo senso quando fosse restata offesa dalla
domanda del concilio tanto modesta e necessaria. E dopo longa discussione fu risoluto di commun
parere di non far altra risposta, ma aspettar quello che il pontefice risolvesse sopra la già data.
[I prencipi secolari formano lo scritto de' Cento gravami]
I prencipi secolari poi a parte fecero una longa querela di ciò che pretendevano contra la
corte romana e contra tutto l'ordine ecclesiastico, riducendola a 100 capi, che per ciò chiamarono
centum gravamina. I quali, perché il noncio, col quale erano stati conferiti, si partí prima che
fossero distesi, mandarono al pontefice con una protesta di non volere né potere tolerarli piú, e di
essere dalla necessità et iniquità loro costretti a cercar di liberarsene con ogni industria e per le piú
commode vie che potessero.
Longo sarebbe esprimer il contenuto, ma in somma si querelavano del pagamento per le
dispense et assoluzioni, de' danari che si cavavano per l'indulgenze, delle liti che si tiravano in
Roma, delle riservazioni de' beneficii et altri abusi di commende et annate, dell'essenzione degli
ecclesiastici ne' delitti, delle scommuniche et interdetti ingiusti, delle cause laiche con diversi
pretesti tirate all'ecclesiastico, delle gran spese nelle consecrazioni delle chiese e cimiteri, delle
penitenze pecuniarie, delle spese per aver i sacramenti e la sepoltura. I quali tutti riducevano a tre
principali capi: al metter in servitú i popoli, spogliarli de' danari et appropriarsi la giurisdizzione del
magistrato secolare.
A 6 di marzo fu fatto il recesso con i precetti contenuti nella risposta al noncio, e fu poco
dopo ogni cosa stampata, cosí il breve del papa, come anco l'instruzzione del noncio, le risposte e
repliche con li 100 gravami furono divolgati per Germania e di là passarono ad altri luoghi et anco a
Roma. Dove la aperta confessione del pontefice, che della corte romana et ordine ecclesiastico
venisse l'origine d'ogni male, non piacque e generalmente non fu grata ai prelati, parendo che fosse
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con troppo ignominia e che dovesse renderli piú odiosi al secolo e potesse esser causa anco di farli
sprezzare dai popoli, anzi dovesse far i luterani piú audaci e petulanti. E sopra tutto premeva il
vedere aperta una porta, dove per necessità sarebbe introdotta o la tanto aborrita moderazione de'
commodi loro, overo convinta la incorrigibilità. E quelli che scusavano piú il pontefice, attribuivano
alla poca cognizione sua dell'arti colle quali si mantiene la potenza pontificia e l'autorità della corte,
fondate sopra la riputazione. Lodavano papa Leone di giudicio e prudenza, che seppe attribuir la
mala opinione che la Germania aveva de' costumi curiali alla poca cognizione che di essa avevano.
E però nella bolla contra Martino Lutero disse che se egli, essendo citato, fosse andato a Roma, non
averebbe trovato nella corte gli abusi che si credeva.
Ma in Germania i mal affetti alla corte romana interpretavano quella candidezza in sinistro,
dicendo che era una solita arte di confessar il male e prometterne il rimedio, senza alcun pensiero di
effettuare cosa alcuna, per addormentar gli incauti, goder il beneficio del tempo e fra tanto, co 'l
mezo delle prattiche co' prencipi, giustificarsi in modo che potessero meglio assoggettir i popoli e
levarli il potersi opponer ai loro voleri e di parlare dei loro mancamenti. E perché diceva il pontefice
che bisognava nel rimediare non tentar di proveder a tutto insieme, per il pericolo di causar mal
maggiore, ma far le cose a passo a passo, se ne ridevano, soggiongendo che ben a passo a passo, ma
in maniera che tra un passo e l'altro vi si fraponesse la distanza d'un secolo. Ma attesa la buona vita
tenuta da Adriano inanzi il pontificato, cosí dopo assonto a vescovato et al cardinalato, come anco
per inanzi, e la buona intenzione che si scopriva in tutte le sue azzioni, gli uomini pii interpretavano
il tutto in buon senso, credendo veramente ch'egli confessasse gli errori per ingenuità e che fosse
anco per porgervi rimedio piú presto di quello che prometteva. Né l'evento lasciò giudicar il
contrario: perché non essendo la corte degna d'un tal pontefice, piacque a Dio che passasse all'altra
vita quasi subito dopo ricevuta la relazione dal suo noncio di Noremberga. Perché a 13 septembre
finí il corso de suoi anni.
Ma in Germania, quando fu publicato il decreto del recesso di Noremberga con li precetti
sopra le prediche e stampe, dalla maggior parte non ne fu tenuto conto alcuno, ma gli interessati,
cosí quelli che seguivano la Chiesa romana, come i luterani, l'intesero a loro favore: perché
dicendosi che si tacessero le cose che potessero mover tumulti popolari, intendevano i catolici che si
dovessero tacer le cose introdotte da Lutero nella dottrina e la riprensione degli abusi dell'ordine
ecclesiastico, et i luterani dicevano esser stata mente della dieta che si dovessero tacer le difese
degli abusi, per li quali il popolo si muoveva contra i predicatori quando udiva rappresentar cosí le
cose cattive, come le buone; e quella parte del decreto che commandava di predicar l'Evangelio
secondo la dottrina de' scrittori approvati dalla Chiesa, i catolici intendevano secondo la dottrina de'
scolastici e degli ultimi postillatori delle Scritture, ma i luterani dicevano che s'intendeva de' santi
padri, Ilario, Ambrosio, Agostino, Gieronimo et altri tali, interpretando anco che fosse loro lecito,
per virtú dell'editto del recesso, continuar insegnando la loro dottrina sino al concilio; sí come i
catolici intendevano che la mente della dieta fosse stata che si dovesse continuar nella dottrina della
Chiesa romana. Onde pareva che l'editto, in luogo d'estinguer il fuogo delle controversie,
l'accendesse maggiormente, e restava nelle pie menti il desiderio del concilio libero, al quale pareva
che ambe le parti si sottomettessero, sperandosi che per quello dovesse seguir la liberazione da tanti
mali

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