SESSIONE XXIII (15 luglio 1563)
Dottrina vera e cattolica sul sacramento dell’ordine a
condanna degli errori del nostro tempo.
Capitolo I
Il sacrificio e il
sacerdozio per divino ordinamento sono talmente congiunti che l’uno e l’altro
sono esistiti sotto ogni legge. E poiché nel nuovo Testamento la chiesa
cattolica ha ricevuto dalla istituzione stessa del Signore il santo visibile
sacrificio dell’eucarestia, bisogna anche confessare che vi è in essa anche il
nuovo e visibile sacerdozio, in cui è stato trasferito l’antico (354).
Che poi questo sia
stato istituito dallo stesso Signore e salvatore nostro, e che agli apostoli e
ai loro successori nel sacerdozio sia stato trasmesso il potere di consacrare,
di offrire e di dispensare il suo corpo e il suo sangue; ed inoltre di
rimettere o di non rimettere i peccati, lo mostra la sacra scrittura e lo ha
sempre insegnato la tradizione della chiesa cattolica.
Capitolo II
Il ministero annesso
ad un sacerdozio così santo è cosa divina, fu perciò conveniente che, per
esercitarlo più degnamente e con maggiore venerazione, nell’ordinata
articolazione della chiesa vi fossero più ordini di ministri e diversi fra
loro, che servissero, per ufficio loro proprio, nel sacerdozio, e fossero così
distribuiti, che quelli che fossero stati già insigniti della tonsura,
attraverso gli ordini minori salissero ai maggiori. La sacra scrittura,
infatti, nomina espressamente non solo i sacerdoti, ma anche i diaconi, ed insegna
con parole solenni quello cui si deve sommamente badare nella loro ordinazione
(355). E si sa che fin dall’inizio della chiesa erano in uso i nomi degli
ordini seguenti e i ministeri propri a ciascuno di essi: suddiacono, accolito,
esorcista, lettore, ostiario, quantunque non con pari grado. Il suddiaconato,
inoltre, dai padri e dai sacri concili è considerato tra gli ordini maggiori; e
leggiamo in essi, frequentissimamente , anche quanto riguarda gli ordini
minori.
Capitolo III
Poiché dalla testimonianza della scrittura, dalla tradizione
apostolica e dal consenso unanime dei padri appare chiaro che con la sacra
ordinazione - che si compie con parole e segni esteriori - viene comunicata la
grazia, nessuno deve dubitare che l’ordine è realmente e propriamente uno dei
sette sacramenti della chiesa. Dice, infatti, l’apostolo: Io ti esorto che
tu voglia rianimare la grazia di Dio, che è in te con l’imposizione delle mie
mani. Non ci ha dato, infatti, Dio lo spirito del timore, ma della virtù,
dell’amore e della sobrietà (356).
Capitolo IV
Poiché, poi, nel
sacramento dell’ordine, come nel battesimo e nella cresima, viene impresso il
carattere, che non può essere né cancellato, né tolto, giustamente il santo
sinodo condanna l’opinione di quelli che asseriscono che i sacerdoti del nuovo
Testamento hanno solo un potere temporaneo, e che quelli che una volta sono
stati regolarmente ordinati, possono tornare di nuovo laici, se non esercitano
il ministero della parola di Dio.
Se qualcuno afferma che tutti i cristiani, senza
distinzione, sono sacerdoti del nuovo Testamento, o che tutti godono fra di
essi di uno stesso potere spirituale, allora costui non sembra far altro che
sconvolgere la gerarchia ecclesiastica, che è come un esercito schierato a
battaglia (357); proprio come se, diversamente da quanto insegna il beato
Paolo (358), fossero tutti apostoli, tutti profeti, tutti evangelisti, tutti
pastori, tutti dottori.
Perciò il santo sinodo dichiara che - oltre agli altri gradi
ecclesiastici - appartengono a questo ordine gerarchico specialmente i vescovi,
successori degli apostoli, che sono posti (come afferma lo stesso apostolo)
dallo Spirito santo a reggere la chiesa di Dio (359); sono superiori ai
sacerdoti; possono conferire il sacramento della cresima, ordinare i ministri
della chiesa e compiere le molte altre funzioni, di cui gli altri di ordine
inferiore non hanno alcun potere.
Insegna, inoltre, il
santo concilio, che nella ordinazione dei vescovi, dei sacerdoti e degli altri
ordini non si richieda così necessariamente il consenso, o la chiamata o
l’autorità del popolo o di qualsiasi potestà o autorità secolare, da render
nulla, senza di esse, l’ordinazione. Anzi, quelli che, chiamati e costituiti
solo dal popolo o dal potere e dall’autorità secolare si appressano ad
esercitare questi ministeri, e quelli che se li arrogano di propria temerità,
sono tutti non ministri della chiesa, ma ladri e rapinatori, che non sono
entrati dalla porta (360).
Queste sono le cose
che in generale è sembrato bene al santo sinodo insegnare ai fedeli cristiani
sul sacramento dell’ordine. Ed ha stabilito di condannare quanto contrasta con
questi insegnamenti con canoni determinati e propri come segue, affinché tutti,
con l’aiuto di Dio, attenendosi alla regola della fede, in mezzo alle tenebre
di tanti errori, più facilmente possano conoscere e tenere la verità cattolica.
CANONI SUL
SACRAMENTO DELL’ORDINE
1. Se qualcuno dirà
che nel nuovo Testamento non vi è un sacerdozio visibile ed esteriore, o che
non vi è alcun potere di consacrare e di offrire il vero corpo e sangue del
Signore, di rimettere o di ritenere i peccati, ma il solo ufficio e il nudo
ministero di predicare il vangelo, o che quelli che non predicano non sono
sacerdoti, sia anatema.
2. Se qualcuno dirà
che oltre al sacerdozio non vi sono nella chiesa cattolica altri ordini,
maggiori e minori, attraverso i quali, come per gradi si tenda al sacerdozio,
sia anatema.
3. Se qualcuno dirà
che l’ordine, cioè la sacra ordinazione, non è un sacramento in senso vero e
proprio, istituito da Cristo signore, o che è un’invenzione umana fatta da
uomini ignoranti di cose ecclesiastiche, o che è solo un rito per eleggere i
ministri della parola di Dio e dei sacramenti, sia anatema.
4. Se qualcuno dirà che con la sacra ordinazione non viene
dato lo Spirito santo, e che quindi, inutilmente il vescovo dice: Ricevi lo
Spirito santo, o che con essa non si imprime il carattere o che chi sia
stato una volta sacerdote, possa di nuovo diventare laico, sia anatema.
5. Se qualcuno dirà
che la sacra unzione, che la chiesa usa fare nella santa ordinazione, non solo
non è necessaria, ma che si deve disprezzare e che è dannosa, come tutte le
altre cerimonie dell’ordine, sia anatema.
6. Se qualcuno dice
che nella chiesa cattolica non vi è una gerarchia istituita per disposizione
divina, e formata di vescovi, sacerdoti e ministri, sia anatema.
7. Se qualcuno dirà
che i vescovi non sono superiori ai sacerdoti, o che non hanno il potere di
confermare e di ordinare, o che quello che hanno è comune ad essi con i sacerdoti,
o che gli ordini da loro conferiti senza il consenso o la chiamata del popolo o
dell’autorità secolare, sono invalidi; o che quelli, che non sono stati né
regolarmente ordinati né mandati dall’autorità ecclesiastica e canonica, ma
vengono da altri, sono legittimi ministri della parola e dei sacramenti, sia
anatema.
8. Se qualcuno dirà
che i vescovi, assunti per autorità del romano pontefice, non sono vescovi
legittimi e veri, ma invenzione umana, sia anatema.
Decreto di riforma.
Lo stesso sacrosanto
concilio Tridentino, proseguendo la materia della riforma, stabilisce e ordina
che, al presente, si debbano stabilire le cose che seguono.
Canone I
Poiché con precetto
divino (361) è stato comandato a tutti quelli cui è stata affidata la cura
delle anime, di conoscere le proprie pecore, di offrire per esse il sacrificio,
di pascerle con la predicazione della parola divina, con l’amministrazione dei
sacramenti e con l’esempio di ogni opera buona; di aver una cura paterna per i
poveri e per gli altri bisognosi e di attendere a tutti gli altri doveri
pastorali, - cose tutte che non possono essere fatte e compiute da quelli che
non vigilano sul proprio gregge e non lo assistono, ma lo abbandonano come
mercenari (362) - il sacrosanto sinodo li ammonisce e li esorta, perché, memori
dei divini precetti e divenuti esempi del gregge (363), lo pascano e lo reggano
nella saggezza e nella verità.
Perché le
disposizioni che santamente e utilmente già precedentemente sono state
stabilite da Paolo III (364), di felice memoria, sulla residenza, non vengano
interpretate secondo sensi del tutto alieni dall’intenzione del sacrosanto
sinodo, - quasi che in forza di quel decreto si possa essere assenti per cinque
mesi continui, - il sacrosanto concilio, riconfermandole, dichiara che tutti
quelli che con qualsiasi ragione e con qualsiasi titolo sono messi a capo di
chiese patriarcali, primaziali, metropolitane, cattedrali anche se fossero
cardinali della santa chiesa romana, sono obbligati alla residenza personale
nella loro chiesa o diocesi e ad attendere in esse all’ufficio loro affidato; e
che non possono assentarsi, se non per i motivi e nei modi che seguono.
Poiché, infatti, la
carità cristiana, una urgente necessità, la dovuta obbedienza ed una evidente
utilità della chiesa e dello stato esige e richiede talvolta che qualcuno si
allontani, lo stesso sacrosanto concilio stabilisce che queste cause di
legittima assenza debbano essere approvate per iscritto dal beatissimo romano
pontefice, o dal metropolita, o, se questi fosse assente, dal vescovo
suffraganeo residente più anziano, che dovrà, inoltre, approvare l’assenza del
metropolita. A meno che l’assenza sia determinata da un incarico o da un
ufficio di pubblica utilità congiunto con i vescovati, le cui cause, essendo
notorie e qualche volta improvvise, non è neppure necessario comunicarle al
metropolita. A questi, tuttavia, spetterà, insieme col concilio provinciale,
giudicare delle licenze concesse da lui o da un suffraganeo e vigilare che
nessuno abusi di quel diritto, e che chi manca sia punito con le pene
canoniche.
Si ricordino,
intanto, quelli che si assentano, che si deve provvedere in tal modo alle loro
pecore che, per quanto è possibile, esse non ricevano alcun danno dalla loro
assenza.
Inoltre, quelli che
sono assenti solo per breve tempo, non si considerano assenti secondo le
prescrizioni degli antichi canoni, perché dovrebbero tornare subito; il
sacrosanto concilio però vuole che lo spazio dell’assenza, continuo o ad
intervalli, al di fuori delle cause predette, ogni anno non superi in nessun
modo i due, o, al massimo, i tre mesi; e che si faccia in modo che l’assenza
abbia un motivo plausibile e non rechi danno al gregge. Che davvero sia così,
lo si lascia alla coscienza di chi parte, che si spera sia religiosa e timorata,
dato che Dio, la cui opera sono tenuti a compiere senza inganno (365), a loro
rischio, vede i cuori (366).
Esso, inoltre, li
ammonisce e li esorta nel Signore a non volersi assentare in nessun modo dalla
loro chiesa cattedrale durante il tempo dell’avvento del Signore, della
quaresima, della natività, della resurrezione del Signore, nei giorni della
pentecoste e del corpo di Cristo, nei quali le pecorelle devono soprattutto
essere ristorate e godere nel Signore della presenza del pastore, a meno che i
doveri episcopali li chiamino altrove nella loro diocesi.
Se qualcuno (che ciò
non avvenga mai!), contro quanto stabilisce questo decreto, si allontanasse, il
sacrosanto sinodo stabilisce che, oltre alle altre pene imposte sotto Paolo III
contro i non residenti e rinnovate, e oltre al peccato mortale, nel quale
incorre, egli non abbia diritto di percepire i suoi frutti in proporzione del
tempo dell’assenza; e che, anche senza altra dichiarazione, egli non possa con
tranquilla coscienza, tenerli. È anzi tenuto, o in suo difetto il superiore
ecclesiastico, ad erogare questi frutti alla fabbrica delle chiese o ai poveri
del luogo. È anche proibita qualsiasi convenzione o composizione per frutti mal
percepiti per cui i frutti predetti verrebbero in tutto o in parte lasciati
all’interessato. Ciò, non ostante qualsiasi privilegio, concesso a qualsiasi
collegio o fabbrica.
Il sacrosanto sinodo
dichiara e stabilisce le stesse, identiche cose - anche per quanto riguarda la
colpa, la perdita dei frutti, le pene - per i curati inferiori e per qualsiasi
altro che abbia un beneficio ecclesiastico con cura d’anime, con questa
precauzione: che quando essi, dopo che il motivo è stato fatto presente e
approvato dal vescovo, si allontanano, lascino un sostituto adatto, che lo stesso
ordinario dovrà approvare e a cui dovrà essere assegnato il dovuto compenso.
Essi, poi, non potranno ottenere il permesso di andarsene per un tempo
superiore al bimestre, eccetto il caso di un motivo grave. Questo permesso sia
rilasciato per iscritto e gratuitamente.
Se citati a
comparire, anche non personalmente, fossero contumaci, il sinodo lascia agli
ordinari di costringerli con le censure ecclesiastiche, col sequestro e la
sottrazione dei frutti, e con gli altri rimedi del diritto, fino alla privazione
del beneficio. Questa esecuzione, poi, non potrà esser sospesa da nessun
privilegio, licenza, parentela, esenzione, anche a causa di qualsiasi
beneficio, patto, statuto, perfino confermato con giuramento o da qualsiasi
autorità, da qualsiasi consuetudine, anche immemorabile, - che si deve
piuttosto dire corruttela - o appello o proibizione, anche alla curia romana o
in forza della costituzione di Eugenio IV (367).
Da ultimo, il santo
sinodo comanda che nei concili provinciali e vescovili siano pubblicati sia il
decreto approvato sotto Paolo III, che questo. Desidera, infatti, che le cose
che sono essenziali al dovere pastorale e alla salvezza delle anime, vengano
fatte risuonare spesso agli orecchi e alle menti di tutti, così che in
avvenire, con l’aiuto di Dio, non siano abolite né per ingiuria del tempo, né
per dimenticanza degli uomini, né per la desuetudine.
Canone II
Quelli che per qualunque ragione e con qualsiasi titolo sono
messi a capo delle chiese cattedrali o superiori, anche se si trattasse di
cardinali della santa chiesa romana, qualora non ricevessero la consacrazione
entro tre mesi, siano tenuti alla restituzione dei frutti che hanno percepito.
Se dopo ciò trascureranno di riceverla per altri tre mesi, siano privati ipso
iure delle loro chiese. Quanto alla consacrazione, se verrà fatta fuori
della curia romana, venga celebrata, possibilmente, nella chiesa, alla quale
sono stati promossi o nella provincia.
Canone III
I vescovi
conferiscano gli ordini personalmente. Se per malattia non potessero, mandino i
loro sudditi già approvati ed esaminati ad altro vescovo perché li ordini.
Canone IV
Non siano ammessi
alla prima tonsura quelli che non avessero ricevuto il sacramento della
confermazione e una rudimentale istruzione sulla fede, che non sappiano leggere
e scrivere e dei quali non si possa facilmente pensare che hanno scelto questo
genere di vita non con l’astuta intenzione di poter fuggire il giudizio
secolare, ma per prestare a Dio un fedele servizio.
Canone V
Chi dev’essere
promosso agli ordini minori abbia un buon attestato del parroco o del maestro
della scuola in cui viene educato.
Quelli poi che
aspirano agli ordini maggiori, un mese prima dell’ordinazione si rechino dal
vescovo. Questi affiderà al parroco o ad altri, come meglio crederà, il compito
di indagare diligentemente - dopo aver pubblicato, nella chiesa, i nomi e il
desiderio di quelli che vogliono esser promossi - sulla nascita, l’età, i
costumi e la vita degli stessi ordinandi, interrogando persone degne di fede, e
di trasmettere al più presto le lettere testimoniali al vescovo stesso con
l’indagine fatta.
Canone VI
Nessuno, ricevuta la prima tonsura o costituito negli ordini
minori, potrà ricevere un beneficio prima dal quattordicesimo anno. Questi non
dovrà neppure godere del privilegium fori, se non ha un beneficio
ecclesiastico o se, per disposizione del vescovo non serva, in qualche chiesa,
o non si trovi in un seminario di chierici, o, con licenza del vescovo, in
qualche scuola od università, per prepararsi a ricevere gli ordini maggiori.
Con i chierici ammogliati si osservi la costituzione di
Bonifacio VIII Clerici, qui cum unicis (368), purché essi, destinati dal
vescovo al servizio o al ministero di qualche chiesa, prestino davvero il loro
servizio e ministero in quella chiesa e portino l’abito clericale e la tonsura.
A nessuno potrà
esser di aiuto, in ciò, qualsiasi privilegio o consuetudine, anche
immemorabile.
Canone VII
Il santo sinodo,
seguendo le prescrizioni degli antichi canoni, dispone che, quando il vescovo
intende fare un’ordinazione, tutti quelli che vogliono entrare nel sacro
ministero, il mercoledì prima dell’ordinazione, o quando sembrerà al vescovo,
vengano chiamati in città. E il vescovo, con l’assistenza di sacerdoti e di
altre persone prudenti, dotte nella legge divina e pratiche delle leggi
ecclesiastiche, cerchi di conoscere ed esamini attentamente la famiglia, la
persona, l’età, l’educazione, i costumi, la dottrina, la fede degli ordinandi.
Canone VIII
Il conferimento dei
sacri ordini sia celebrato pubblicamente nei tempi stabiliti dal diritto nella
chiesa cattedrale. Siano chiamati e siano presenti a ciò i canonici della
chiesa. Se dovesse farsi in altro luogo, si scelga sempre, per quanto sarà
possibile, la chiesa più degna, presente il clero del luogo.
Ciascuno sia
ordinato dal proprio vescovo. E se qualcuno chiedesse di essere promosso da
altri, non gli sia in nessun modo concesso, - neppure col pretesto di qualche
rescritto o privilegio generale o speciale, e nei tempi stabiliti, - se la sua
onestà e la sua condotta non siano raccomandati da un attestato del suo
ordinario. Se si agisse diversamente, l’ordinante sia sospeso per un anno dal
conferimento degli ordini; chi è stato ordinato sia sospeso dall’esercizio
degli ordini ricevuti, per tutto il tempo che sembrerà opportuno all’ordinario.
Canone IX
Un vescovo non potrà
ordinare un suo familiare, che non sia suo suddito, se non avrà vissuto con lui
per un triennio, e non gli conferisca immediatamente e realmente un beneficio,
al di fuori di ogni inganno. Ciò, non ostante qualsiasi consuetudine contraria,
anche immemorabile.
Canone X
In avvenire, non sia
permesso agli abati né a chiunque altro esente, chiunque sia, che si trovi
entro i confini di una diocesi, anche se si dica di nessuna diocesi o esente,
conferire la tonsura o gli ordini minori a chiunque, che non sia regolarmente
suo suddito; gli stessi abati ed altri esenti, o collegi o capitoli qualsiasi,
anche di chiese cattedrali, non dovranno concedere lettere dimissorie a
chierici secolari perché vengano ordinati da altri; l’ordinazione di tutti
questi, invece - nella piena osservanza di tutte le prescrizioni contenute nei
decreti di questo santo sinodo, - sia riservata ai vescovi nel territorio della
cui diocesi essi si trovano. Non ostante qualsiasi privilegio, prescrizione, o
consuetudine, anche immemorabile.
Il sinodo dispone
che anche la pena stabilita contro chi chiede le lettere dimissorie al capitolo
cattedrale, durante la vacanza della sede - contro il decreto di questo santo
sinodo, sotto Paolo III (369), - sia estesa a quelli che ottenessero le stesse
lettere non dal capitolo, ma da chiunque altro che, sede vacante, succeda nella
giurisdizione del vescovo, invece del capitolo.
Chi conceda lettere dimissorie contro il tenore dello stesso
decreto, sia sospeso ipso iure dal suo ufficio e beneficio per un anno.
Canone XI
Gli ordini minori
siano conferiti a quelli che comprendono la lingua latina, osservando gli
intervalli di tempo, a meno che al vescovo non sembri meglio fare diversamente.
Cosi potranno essere più accuratamente istruiti sull’importanza di questo
impegno. Si esercitino in ognuno di questi uffici, secondo le prescrizioni del
vescovo, nella chiesa, cui saranno addetti, a meno che non siano assenti per
motivi di studio; e così salgano, di grado in grado e con l’età cresca in essi
il merito ed una maggiore dottrina.
Confermeranno ciò
soprattutto l’esempio dei buoni costumi, l’assiduo servizio nella chiesa, una
maggiore riverenza verso i sacerdoti e gli ordini superiori, la comunione più
frequente del corpo di Cristo.
E poiché da qui si
apre l’ingresso ai gradi più alti e ai misteri più sacri, nessuno sia promosso
ad essi se non lascia sperare di esserne degno.
Nessuno sia promosso
ai sacri ordini, se non dopo un anno da quando ha ricevuto l’ultimo grado degli
ordini minori, a meno che a giudizio del vescovo la necessità o l’utilità della
chiesa non richieda diversamente.
Canone XII
D’ora innanzi
nessuno sia promosso all’ordine del suddiaconato prima dei ventidue anni di
età; al diaconato, prima dei ventitré; al sacerdozio, prima dei venticinque.
I vescovi tengano
presente, però, che non tutti quelli che hanno raggiunto questa età devono
essere assunti a questi ordini, ma solo i degni e quelli, la cui onesta vita è
testimonianza di maturità (370). Anche i religiosi non siano ordinati né in età
minore né senza diligente esame da parte del vescovo. Si esclude assolutamente,
in ciò, qualsiasi privilegio.
Canone XIII
Siano ordinati
suddiaconi e diaconi quelli che hanno buona reputazione, che hanno dato buona
prova già negli ordini minori, che sono istruiti nelle lettere e sono in
possesso delle qualità necessarie per esercitare il loro ordine e che, con
l’aiuto di Dio, possono sperare di praticare la continenza. Prestino servizio
nelle chiese, cui saranno assegnati e sappiano che faranno cosa sommamente
degna, se, almeno nelle domeniche e nei giorni più solenni, servendo
all’altare, riceveranno la santa comunione. Non si permetta che quelli che sono
promossi all’ordine sacro del suddiaconato, salgano al grado superiore, se non
avranno passato almeno un anno in quell’ordine, a meno che al vescovo non
sembri diversamente. Non vengano conferiti due ordini sacri nello stesso
giorno, neppure ai religiosi, non ostante qualsiasi privilegio ed indulto concesso
a chiunque.
Canone XIV
Quelli che si sono
comportati piamente e fedelmente nei ministeri precedenti, siano assunti
all’ordine del presbiterato. Abbiano buona testimonianza (371), e siano tali,
che non solo abbiano servito almeno un anno intero nel diaconato - a meno che
per una utilità e necessità della chiesa non sembri al vescovo di dover fare
diversamente - ma che, previo diligente esame, siano anche giudicati capaci di
insegnare al popolo quelle verità che a tutti è necessario sapere per la salvezza,
e di amministrare i sacramenti; che, inoltre, brillino in tal modo per pietà e
purezza di costumi, da potersi aspettare da essi un meraviglioso esempio di
buone opere e moniti di vita.
Il vescovo curi che
essi celebrino la santa messa almeno nelle domeniche e nelle feste più solenni;
e, se hanno cura d’anime, tanto frequentemente, da soddisfare al loro dovere.
A quelli che sono
stati promossi con un salto, se essi non hanno esercitato il ministero, il
vescovo potrà accordare la dispensa per una causa legittima.
Canone XV
Anche se i sacerdoti
nella loro ordinazione ricevono il potere di assolvere dai peccati, tuttavia,
questo santo concilio stabilisce che nessuno, neppure un religioso, possa
ascoltare le confessioni dei secolari - anche sacerdoti - ed essere giudicato
adatto a questo ministero, se o non ha un beneficio parrocchiale o non è
ritenuto capace dal vescovo con un esame - se questi lo crederà necessario - o
in altro modo, e non ottiene l’approvazione. Questa dev’essere data
gratuitamente. Ciò non ostante qualsiasi privilegio e consuetudine, anche
immemorabile.
Canone XVI
Poiché nessuno
dev’essere ordinato, se a giudizio del suo vescovo non sia utile o necessario
alle sue chiese, il santo sinodo, conformemente al sesto canone del concilio di
Calcedonia (372), stabilisce che nessuno, in futuro, venga ordinato, se non è
addetto alla chiesa o al luogo pio, per la cui necessità od utilità viene
assunto, dove egli eserciti i suoi doveri, senza andare vagando da una sede
all’altra. Se per caso egli abbandonasse il posto, senza avere il permesso del
vescovo, gli si proibisca l’esercizio dei sacri ministeri. Inoltre, nessun
chierico straniero sia ammesso da nessun vescovo a celebrare i divini misteri e
ad amministrare i sacramenti, senza lettere commendatizie del proprio
ordinario.
Canone XVII
Perché le funzioni
dei santi ordini, dal diaconato all’ostiariato, lodevolmente accolte nella
chiesa fin dai tempi degli apostoli, e in molti luoghi per lungo tempo
interrotte, siano rimesse in uso secondo i sacri canoni, e non siano criticate
dagli eretici come inutili, il santo sinodo, desiderando vivamente di rimettere
in uso quell’antica usanza, stabilisce che, in futuro tali ministeri non siano
esercitati se non da quelli che sono costituiti in questi ordini.
Il concilio esorta,
quindi, nel Signore, tutti e singoli i prelati e comanda loro di far in modo -
per quanto è possibile - che nelle chiese cattedrali, collegiate e parrocchiali
della loro diocesi, dove un popolo numeroso e i proventi della chiesa lo
permettono, queste funzioni vengano ripristinate, assegnando a quelli che le
esercitano uno stipendio sui redditi di qualche beneficio semplice o della
fabbrica della chiesa, se vi fossero dei proventi, o dell’uno e dell’altra. Se
poi questi chierici fossero negligenti, siano multati di una parte degli
emolumenti o addirittura privati di essi, a giudizio dell’ordinario.
Se, inoltre, non si
trovassero dei chierici celibatari per esercitare i quattro ordini minori,
potranno essere loro sostituiti anche degli sposati di onesta vita, adatti a
questi uffici, purché non bigami e a condizione che in chiesa portino la
tonsura e l’abito clericale.
Canone XVIII
Gli adolescenti, se
non sono ben formati, sono inclini a seguire i piaceri del mondo (373) e se non
sono orientati, fin dai teneri anni, alla pietà e alla religione prima che
cattive abitudini si impadroniscano completamente dell’uomo, non sono capaci di
perseverare completamente nella disciplina ecclesiastica, senza un aiuto
grandissimo e singolarissimo di Dio onnipotente. Per questo il santo sinodo
stabilisce che le singole chiese cattedrali, metropolitane, e le altre maggiori
di queste, in proporzione delle loro facoltà e della grandezza della diocesi,
siano obbligate a mantenere, educare religiosamente ed istruire nella
disciplina ecclesiastica un certo numero di fanciulli della stessa città e
diocesi, o, se non fossero abbastanza numerosi, della provincia, in un collegio
scelto dal vescovo vicino alle stesse chiese o in altro luogo adatto.
Siano ammessi in
questo collegio quelli che hanno almeno dodici anni e sono nati da legittimo
matrimonio, che abbiano imparato a leggere e a scrivere e la cui indole e
volontà dia speranza che essi sono disposti ad essere sempre a servizio della
chiesa. Il concilio intende che vengano scelti specialmente i figli dei poveri,
senza escludere i figli dei ricchi, purché si mantengano da sé e mostrino
inclinazione a servire con zelo Dio e la chiesa.
Il vescovo dividerà
questi fanciulli in tante classi quante a lui sembrerà, secondo il loro numero,
la loro età, il progresso nella disciplina ecclesiastica. E quando gli sembrerà
opportuno, ne destinerà una parte al servizio delle chiese, una parte ne
lascerà nel collegio perché siano istruiti, sostituendo altri al posto di
quelli che sono stati formati, di modo che questo collegio sia un perpetuo
seminario di ministri di Dio.
Perché, poi, possano
essere istruiti più facilmente nella disciplina ecclesiastica, prenderanno
subito la tonsura e indosseranno sempre la veste clericale; impareranno la grammatica,
il canto, il computo ecclesiastico e le altre conoscenze utili; attenderanno
con ogni attenzione allo studio della sacra scrittura, dei libri ecclesiastici,
delle omelie dei santi, al modo di amministrare i sacramenti, - specie per
ascoltare le confessioni, - e impareranno le regole dei riti e delle cerimonie.
Il vescovo procuri
che ogni giorno assistano al sacrificio della messa; che almeno ogni mese si
confessino, e secondo il giudizio del confessore, ricevano il corpo del nostro
signore Gesù Cristo e che nei giorni festivi servano in cattedrale e nelle
altre chiese del luogo: cose tutte, insieme ad altre opportune e necessarie a
questo riguardo, che i singoli vescovi stabiliranno col consiglio dei due
canonici più anziani e di maggior criterio, che essi eleggeranno come lo
Spirito santo suggerirà loro. Questo consilio si darà da fare con visite
frequenti perché tali prescrizioni vengano osservate. Essi puniranno
severamente i caratteri difficili e incorreggibili e quelli che propagano
cattivi costumi. Se necessario, li cacceranno, toglieranno ogni impedimento e
porranno ogni cura nel realizzare qualsiasi cosa che sembri possa essere adatta
a conservare e far fiorire una istituzione così pia e così santa.
Per costruire l’edificio del collegio, per dare un compenso
ai professori e al personale, per mantenere la gioventù e per altre spese,
oltre ai mezzi che in alcune chiese e luoghi sono destinati all’educazione e al
mantenimento dei fanciulli, che il vescovo avrà cura di devolvere a favore di
questo seminario -, saranno necessari dei redditi fissi. Per questo, gli stessi
vescovi, col consiglio di due membri del capitolo, di cui uno eletto dal
vescovo e l’altro dal capitolo e similmente di due membri del clero della
città, la cui elezione spetti per uno al vescovo e per l’altro al clero,
detrarranno una parte delle rendite della mensa vescovile, del capitolo, di
qualsiasi dignità, personato, ufficio, prebenda, porzione, abbazia e priorato,
di qualsiasi ordine, - anche regolare -, qualità o condizione essi fossero; ed
inoltre degli ospedali che vengono dati in titolo o in amministrazione, secondo
la costituzione del concilio di Vienne Quia contingit (374), di ogni
beneficio, anche regolare, di qualsiasi diritto di patronato o esente o di
nessuna diocesi o annesso ad altre chiese, monasteri, ospedali, o a qualsiasi
altro luogo pio, anche esente. Detrarranno una parte anche dalle fabbriche
delle chiese ed altri luoghi pii e da qualsiasi altro reddito e provento
ecclesiastico, anche di altri collegi (in cui, tuttavia, non vi siano
attualmente seminari di alunni e di maestri per promuovere il comune bene della
chiesa: il concilio, infatti, ha voluto che questi fossero esenti, salvo per i
redditi eccedenti al conveniente sostentamento degli stessi seminari), o di
corporazioni o confraternite - che in alcuni luoghi sono dette scuole - di
tutti i monasteri, ma non dei mendicanti; anche dalle decime in qualsiasi modo
appartenenti ai laici, da cui sogliono essere pagati sussidi ecclesiastici, e
ai soldati di qualsiasi milizia ed ordine (eccettuati soltanto i frati di S.
Giovanni di Gerusalemme).
Essi applicheranno e
incorporeranno a questo collegio la parte così detratta, assieme ad alcuni
benefici semplici, di qualsiasi qualità e dignità, o anche i prestimoni, o quelle
che sono dette porzioni prestimoniali, anche prima che si rendano vacanti,
naturalmente senza pregiudizio del culto divino e di quelli che le hanno.
Ciò abbia luogo
anche se i benefici sono riservati. Né queste unioni ed aggiunte potranno esser
sospese o impedite in alcun modo per la rinuncia degli stessi benefici; ma
sortiranno assolutamente il loro effetto, non ostante qualsiasi vacanza, -
anche nella curia romana -, e qualsiasi costituzione.
I possessori dei
benefici, delle dignità, dei personati, e di tutti e singoli quegli enti che
sono stati nominati poco fa, siano costretti dai vescovi a pagare questa
porzione con le censure ecclesiastiche e con gli altri mezzi del diritto, non
solo per sé, ma anche per le pensioni che dovessero per caso pagare ad altri da
questi frutti, ritenendo, tuttavia, "pro rata" quanto essi dovranno
pagare per queste pensioni. A questo scopo potranno servirsi, se lo crederanno,
dell’aiuto del braccio secolare. Tutto ciò, - per quanto riguarda tutte e
singole le prescrizioni suddette - non ostante qualsiasi privilegio, esenzione
(anche se dovessero richiedere una deroga particolare), consuetudine, anche
immemorabile, appello, citazione, che avesse forza di impedire l’esecuzione.
Nel caso, poi, che,
mandate ad effetto queste unioni, - o anche in altra maniera - il seminario in
tutto o in parte venga a trovarsi provvisto, allora la porzione detratta ai
singoli benefici, come descritto sopra, sarà condonata in tutto o in parte dal
vescovo, come la cosa esigerà.
Se in questa erezione
e conservazione del seminario i prelati delle chiese cattedrali e delle altre
chiese maggiori fossero negligenti e si rifiutassero di pagare la loro
porzione, l’arcivescovo dovrà riprendere severamente il vescovo, il sinodo
provinciale dovrà riprendere l’arcivescovo e quelli a lui superiori e
costringerli a fare tutto ciò che è stato detto e farà in modo, con ogni
diligenza, che quest’opera santa e pia, dovunque si possa, venga realizzata.
Il vescovo, poi, si
faccia fare ogni anno una relazione sui redditi di questo seminario, presenti
due membri del capitolo ed altre due persone scelte dal clero della città.
Inoltre, perché con minore spesa si possa provvedere all’istituzione di tali
scuole, il santo sinodo stabilisce che i vescovi, gli arcivescovi, i primati e
gli altri ordinari costringano e spingano in ogni modo - anche col togliere
loro i frutti - quelli che hanno cattedre di insegnamento oppure l’ufficio di
lettore o di insegnante, ad insegnare in queste scuole a quelli che devono
essere istruiti: personalmente se sono capaci, altrimenti per mezzo di
sostituti adatti, scelti da loro stessi e approvati dagli ordinari. Se a
giudizio del vescovo questi non fossero degni, nominino un altro che sia degno,
senza alcun diritto di appello. Se fossero negligenti nel far ciò, lo nomini lo
stesso vescovo. Essi insegneranno quello che al vescovo sembrerà opportuno.
Per l’avvenire, poi,
gli uffici e dignità attinenti all’insegnamento non siano conferiti se non ai
dottori o ai maestri, o ai licenziati in sacra scrittura o in diritto canonico
o a persone idonee e disponibili ad adempiere questo ufficio personalmente.
Ogni provvista fatta in modo diverso sia nulla ed invalida. Tutto ciò, non
ostante qualsiasi privilegio e consuetudine, anche immemorabile.
Se poi in qualche
provincia le chiese fossero tanto povere, da non potersi erigere, in qualcuna,
il collegio, il sinodo provinciale o il metropolita con i due suffraganei più
anziani farà in modo che nella chiesa metropolitana o nella chiesa più comoda
della provincia, con i frutti di due o più chiese - in ciascuna delle quali il
collegio non potrebbe essere facilmente costituito - vengano eretti uno o più
collegi, come giudicherà opportuno, dove i fanciulli di quelle chiese siano
educati.
Nelle chiese,
invece, che hanno diocesi ampie, il vescovo potrà avere uno o più seminari,
come gli sembrerà opportuno, che, però, dovranno dipendere in tutto e per tutto
da quello eretto e costituito nella città.
Per ultimo, se per
le unioni, per la tassazione o assegnazione e incorporazione delle porzioni o
per qualsiasi altro motivo, sorgesse qualche difficoltà, per cui la
costituzione e la conservazione di questo seminario potrebbe esserne impedita o
resa difficile, il vescovo e i deputati per questo problema o il sinodo
provinciale, a seconda degli usi della regione, della qualità delle chiese e
dei benefici, - limitando anche o aumentando quanto sopra abbiamo prescritto,
se fosse necessario - potranno determinare e prendere ogni singolo
provvedimento che sembrerà necessario ed opportuno al felice progresso di
questo seminario.
Decreto sul giorno della futura sessione e sulle materie che
in essa saranno trattate.
Lo stesso sacrosanto
sinodo Tridentino indice la prossima futura sessione per il giorno sedici del
mese di settembre. In essa si tratterà del sacramento del matrimonio e di altri
argomenti, se vi saranno questioni relative alla dottrina della fede, che
possano essere portate a conclusione. Si tratterà anche delle provviste dei
vescovati, delle dignità e degli altri benefici ecclesiastici e dei diversi
articoli della riforma.
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