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Decreto sulla residenza dei vescovi e degli altri chierici inferiori sessione VI



Decreto sulla residenza dei vescovi e degli altri chierici inferiori

Capitolo I.
Lo stesso sacrosanto sinodo, sotto la presidenza degli stessi legati della sede apostolica, volendo accingersi a ristabilire la disciplina ecclesiastica assai rilassata e a correggere i corrotti costumi del clero e del popolo cristiano, ha creduto di incominciare da quelli che sono a capo delle chiese più importanti: "l’onesta di chi presiede, infatti, è la salvezza dei sudditi" (l63).
Confidando quindi che, per la misericordia del Signore e Dio nostro e per la provvida diligenza del vicario in terra dello stesso Dio, possa senz’altro avvenire che, secondo le venerande prescrizioni dei beati padri (164), al governo delle chiese (peso che gli angeli stessi temerebbero) vengano assunte persone assolutamente degne, la cui vita precedente in ogni loro età, dagli anni della fanciullezza a quelli più maturi, passata lodevolmente negli esercizi della disciplina ecclesiastica, renda loro testimonianza: questo santo Sinodo ammonisce e vuole che siano ammoniti tutti quelli che per qualsiasi motivo e titolo sono a capo di chiese patriarcali, primaziali, metropolitane e cattedrali, perché vegliando su sé stessi e su tutto il gregge sul quale lo Spirito santo li ha costituiti per pascere la chiesa del Signore, che egli si è acquistato col suo sangue (165), siano vigilanti, come comanda l’apostolo (166), lavorino con ogni zelo e assolvano il loro ministero.
Sappiano poi, che non potranno adempierlo in nessun modo se, come mercenari, abbandoneranno i greggi loro affidati (167), e non attenderanno alla custodia delle loro pecore, del cui sangue il giudice supremo chiederà conto alle loro mani (168). È certissimo infatti che non sarà accettata alcuna scusa per il pastore se il lupo ne divora le pecore e egli non se ne accorge.
E tuttavia, poiché in questo tempo si trovano molti (cosa davvero dolorosa) che, immemori anche della propria salvezza, anteponendo le cose terrene alle celesti e le umane alle divine, se ne vanno in giro per le corti, o (abbandonato il gregge e trascurata la custodia delle pecore loro affidate) sono immersi nella cura degli interessi temporali: è sembrato bene al sacrosanto concilio rinnovare gli antichi canoni (169) (che per effetto dei tempi e la trascuratezza degli uomini sono andati quasi in disuso) promulgati contro i non residenti, cosa che esso fa in virtù del presente decreto ed inoltre, per ottenere più efficacemente la residenza e la riforma dei costumi nella chiesa, decide di stabilire e sancire nel modo che segue:
Se qualcuno, cessando il legittimo impedimento o i giusti e ragionevoli motivi, dimorando fuori della sua diocesi per sei mesi continui sarà assente da una chiesa patriarcale, primaziale, metropolitana, o cattedrale, a lui affidata con qualsiasi titolo, causa, motivo, qualsiasi dignità, grado e preminenza egli abbia, ipso iure incorra nella pena di una quarta parte dei frutti di un anno, da destinarsi dal superiore ecclesiastico alla manutenzione della chiesa e ai poveri del luogo. Se poi l’assenza si prolunga per altri sei mesi, perda per ciò stesso un’altra quarta parte dei frutti da destinarsi allo stesso scopo. Prolungandosi la contumacia, perché essa sia assoggettata ad una più severa censura dei sacri canoni, il metropolita sia obbligato, entro tre mesi, a denunziare per lettera o per mezzo di un incaricato, al romano pontefice i vescovi suffraganei assenti; il suffraganeo più anziano residente sia obbligato a denunziare il metropolita assente: ciò sotto pena di interdetto dall’ingresso della chiesa, in cui si incorre ipso facto. Il romano pontefice, poi con l’autorità della sede suprema potrà prendere contro questi assenti i provvedimenti che la loro maggiore o minore contumacia richiede e provvedere alle stesse chiese con dei pastori più diligenti come giudicherà più conveniente e salutare nel Signore.
Capitolo II.
Quelli di dignità inferiore ai vescovi che abbiano in titolo o in commenda qualsiasi beneficio ecclesiastico, che richieda, per prescrizione del diritto o per consuetudine, la residenza personale, siano costretti dai loro ordinari con gli opportuni rimedi giuridici alla residenza (nel modo che a loro sembrerà opportuno, per il buon governo delle chiese e per l’aumento del culto divino, tenendo conto della qualità dei luoghi e delle persone) senza che qualcuno sia favorito da privilegi o indulti perpetui che concedano di non risiedere o di percepire i frutti durante l’assenza (170).
Gli indulti, tuttavia, e le dispense temporanee, solo se concessi per motivi veri e ragionevoli, che devono essere legittimamente dimostrati davanti all’ordinario rimarranno in vigore. In questi casi, però, sarà dovere dei vescovi (considerandosi in ciò legati della sede apostolica) provvedere perché con la nomina di vicari adatti e l’assegnazione di una giusta parte dei frutti, non venga trascurata (171) in nessun modo la cura delle anime, senza che alcuno possa esser favorito da questo privilegio o esenzione.
Capitolo III.
I prelati delle chiese attendano con prudenza e diligenza alla correzione delle mancanze dei loro sudditi e nessun chierico secolare, invocando un privilegio personale, o nessun religioso che viva fuori del monastero, anche col pretesto che il suo ordine ne abbia il privilegio, si creda sicuro se commettesse un fallo di non essere visitato, punito e corretto dall’ordinario del luogo (come delegato della sede apostolica) secondo le sanzioni canoniche.
Capitolo IV.
I capitoli cattedrali e delle altre chiese maggiori e le persone che li compongono per nessuna esenzione, consuetudine, sentenza, giuramento, accordo (che, del resto, obbligherebbero solo quelli che ne sono gli autori e non i successori) potranno credersi al sicuro dal poter essere visitati, corretti ed emendati, anche con autorità apostolica, dai loro vescovi e da altri prelati maggiori - da soli o con altri, come a loro sembrerà - secondo le sanzioni canoniche, tutte le volte che sembri loro opportuno.
Capitolo V.
A nessun vescovo sia lecito, col pretesto di qualsiasi privilegio, esercitare il proprio ufficio episcopale nella diocesi di un altro vescovo, senza espressa licenza dell’ordinario del luogo, e solo sulle persone soggette allo stesso ordinario; se agisse diversamente, il vescovo sia ipso iure sospeso dall’esercizio delle sue funzioni pontificali e quelli che sono stati ordinati, dall’esercizio del loro ministero.
Indizione della futura sessione.

Reverendissimi e reverendi padri, credete bene che la prossima futura sessione possa esser celebrata il giovedì, feria quinta dopo la prima domenica della prossima quaresima, che cadrà il giorno 3 di marzo? Risposero:

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